“A private war”: ritratto pubblico e privato della reporter Marie Colvin

Rosamund Pike presta il volto, con tanto di benda, alla giornalista americana morta in Siria nel 2012

Un film di Matthew Heineman. Con Rosamund Pike, Jamie Dornan, Tom Hollander, Stanley Tucci, Greg Wise, Faye Marsay. Drammatico, biografico, 110′. USA 2018

Marie Colvin è stata reporter di guerra per il Sunday Times dal 1985 fino alla sua morte, a Homs, nel 2012. Bella e talentuosa, ha vinto numerosi premi, convinto Arafat a raccontarle la sua vita e Gheddafi a farsi intervistare ben due volte. In Sri Lanka aveva perso un occhio e guadagnato un coraggio da pirata. Era stata a Timor Est, in Cecenia, in Iraq, Afghanistan, Libia. Con il fotografo freelance Paul Conroy aveva stretto un sodalizio professionale che durò fino alla fine.

 

Chiunque nutra oggi il folle e romantico sogno di fare del giornalismo il proprio  mestiere dovrà assolutamente vedere il film “A private war” di Matthew Heineman. Soprattutto se – come me, lo ammetto – non ha mai sentito nominare Marie Colvin.

La Colvin è stata per quasi trent’anni, dal 1985 fino alla morte, avvenuta sul campo, a Homs, nel 2012, reporter di guerra per il settimanale britannico Sunday Times. In Siria era impegnata a raccontare l’orrore della guerra civile, documentando la ferocia del dittatore Assad e contrastando le menzogne mediatiche messe in circolazione dal suo regime per nascondere i crimini contro l’umanità.

“A private war” non è il classico biopic su un illustre o coraggioso personaggio, quanto piuttosto un suggestivo e riuscito escamotage per far conoscere alle nuove generazioni la parte più nobile quanto pericolosa del giornalismo. Sì perché pur d’informare su quello che accade nel mondo si può arrivare a mettere in gioco la propria vita.

Al centro del film, gli ultimi dodici anni di vita di Marie Colvin – impegnata ad affrontare una duplice guerra, quella reale, vissuta in prima linea con le treuppe, e quella personale, con la propria coscienza – raccontati attraverso un angosciante e tragico flashback, proprio a partire dalla straziante scena finale.

La giornalista non ebbe mai un momento di esitazione, neppure quando in Sri Lanka perse l’occhio destro, la donna qualcuno sì. “A private war”, infatti, mostra anche la lotta della protagonista contro i propri demoni interiori, tra sofferenza, paura e momenti di legittimo scoramento.

E possiamo dire che “A private war” è anche un riuscito promo per qualsiasi movimento femminista moderno, grazie al racconto anche di aspetti intimi di Marie come il matrimonio fallito, gli aborti, il mai sopito desiderio di maternità.

Ma allora perché, dopo tante belle parole, il film merita, secondo me, soltanto un biglietto pomeridiano, seppure con riserva? Proprio per il suo essere “solo” un film. La storia di Marie Calvin, l’Oriana Fallaci anglosassone, avrebbe meritato e autorizzato l’utilizzo di immagini e clip d’archivio, almeno per la parte bellica, così da rendere più efficace la distinzione tra le due “guerre”.

Rosamund Pike, davanti al ruolo più impegnativo fin a oggi della sua carriera, sfodera passione, partecipazione e abgnegazione. Nonostante risulti più convincente – restando sul terreno del paragone con la Fallaci – della collega Vittoria Puccini, e piuttosto emozionante sul versante privato, come reporter di guerra perde grinta e mordente.

Durante un’intervista televisiva chiesero a Marie Colvin se, una volta scelto di sposare questa professione, non avesse mai provato rimorso o paura. Marie rispose: “Ovviamente provo paura ogni volta che sono su un campo di battaglia, ma se dovessimo lasciare vincere la paura sarebbe davvero finita”.

Questa era Marie Colvin, una grande giornalista e una grande donna.

 

Il biglietto da acquistare per “A private war” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio (con riserva). Ridotto. Sempre.

 

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