Un film di Raúl Arévalo. Con Antonio de la Torre, Luis Callejo, Ruth Díaz, Alicia Rubio, Manolo Solo. Thriller, 92′. 2016

La parola di Dio insegna a porgere l’altra guancia, a perdonare, ad amare anche i nemici. Tutto bello per chi ha fede e desidera vivere una vita pacifica e serena.

Ma se il mondo, sotto forma di criminali, assassini, stupratori, irrompe nella tua vita togliendoti una moglie, un amico, un parente, allora viene da chiedersi se sia così moralmente condannabile covare vendetta e volersi sostituire a quella giustizia che è spesso deludente e iniqua.

Giustizia o feroce vendetta? È un dilemma antico e controverso che nasce insieme con l’uomo, da sempre combattuto tra questi opposti sentimenti.

La vendetta è un piatto da servire freddo, dice un vecchio proverbio. Proverbio quanto mai calzante nel caso di José (de la Torre), protagonista del film di Raúl Arévalo.

José è un giustiziere assai diverso da quelli che abbiamo visto e magari apprezzato fino a oggi al cinema, perché sebbene siamo in parte preparati a quello che vedremo – già il titolo parla chiaro – si resta comunque spiazzati dall’evoluzione psicologica e drammaturgica dei personaggi.

La scena iniziale porta lo spettatore dentro una rapina, finita male, in una gioielleria.

L’autista della banda, Curro (Callejo), viene arrestato e condannato a otto anni di reclusione. Nel frattempo la sua fidanzata storica, Ana (Díaz), cresce il loro figlio e lavora duramente nel piccolo bar insieme al fratello.

Tutti vivono nell’attesa del ritorno di Curro, per rompere la bolla d’aria in cui sembrano essere prigionieri. Lo stesso José sembra aspettare quel giorno, in apparenza per via della relazione clandestina che ha iniziato con Ana.

Come in una pièce teatrale, ben costruita, arriva il colpo di scena drammaturgico che cambia gli equilibri psicologici ed emotivi dei personaggi.

Il violento Curro, l’infelice Ana diventano pedine nello scacchiere studiato da José, per ottenere l’agognata vendetta. La vita dell’uomo si è infatti fermata otto anni prima, quando nella famosa rapina ha perso la persona amata.

José è un uomo che probabilmente ha versato tutte le sue lacrime, che ha urlato e preso a pugni i muri di casa, a suo tempo, eppure, nel presente del film, lo spettatore lo vede agire in modo glaciale e senza pietà nei confronti dei colpevoli, come uno spietato vendicatore.

La sceneggiatura è semplice, lineare, diretta quanto profonda e incisiva nelle cose non dette, e riesce a trasmettere pathos, emozione e a coinvolgere lo spettatore.

Chi guarda accompagna Curro e José in questa caccia all’uomo travestita da road movie dove gli sguardi e i silenzi dei due uomini dicono più di mille parole.

La regia di Raúl Arévalo, vincitore del Premio Goya come migliore esordiente, è secca, precisa, puntuale, abile nel creare un film psicologico e allo stesso tempo violento, che non supera mai i limiti e veicola alla perfezione il messaggio della storia: la vendetta di un uomo vista come scopo e non come sete di giustizia.

L’intero cast, di grande personalità e presenza scenica, merita un sincero plauso per le rispettive performance, assai credibili e talentuose.

Il finale, tragicamente sorprendente e brutale, è la degna conclusione di un film magistralmente scritto, diretto e interpretato, che merita di essere visto, mettendo però da parte qualsiasi etica e immaginando semplicemente cosa ognuno di noi avrebbe fatto al posto di José, allo stesso tempo vittima e carnefice.

 

Il biglietto da acquistare per “La vendetta di uomo tranquillo” è: 1)Nemmeno regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre.





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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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