Al cinema: L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo

Un film di Jay Roach. Con Bryan Cranston, Diane Lane, Helen Mirren, John Goodman, Elle Fanning, Michael Stulbarg, Louis C.K. Biografico, 124′. 2015

L'ultima parola, Dalton Trumbo, locandina

L’arte e la politica dovrebbero rimanere mondi separati e distinti. Sfortunatamente i politici amano le luci della ribalta e s’illudono di poter sfruttare la visibilità connessa a certi ambienti a proprio vantaggio. I due mondi separati entrano così in contatto, e il più delle volte si genera un vero e proprio cortocircuito.

Un drammatico esempio di ciò che questo comporto avvenne negli Stati Uniti, patria dello show business, alla fine degli anni Quaranta, dopo lo scoppio della guerra fredda tra Usa e Urss. Le sue super-potenze si contrapponevano sia sul versante politico e militare, sia su quello ideologico. In quegli anni comunista, in America, era sinonimo di antipatriota e traditore. Anche battersi in difesa delle fasce più deboli della popolazione e chiedere un’equa contribuzione salariale era considerato dalla maggior parte dell’opinione pubblica un atto sovversivo da comunisti.

Questo stato di cose non fermò però l’azione politica e sociale di Dalton Trumbo (Cranston), brillante sceneggiatore considerato tra i migliori dell’epoca, che con coraggio si batteva per i diritti degli operai e dei tecnici cinematografici contro gli avidi Studios. Una battaglia di principi che portò Dalton e altri nove colleghi a deporre davanti al Congresso, interrogati anche sulla loro ideologia politica. Dalton si rifiutò di rispondere e fu condannato per oltraggio alla corte a una pena detentiva come un qualsiasi criminale.

Sembra paradossale, in un paese come gli Stati Uniti dove libertà d’espressione e democrazia sono elementi fondamentali, eppure la caccia alle streghe (in questo caso ai comunisti) iniziata dal governo e in particolare dalla commissione guidata dal senatore McCarthy fu spietata. Le vite private di milioni di americani furono passate al setaccio e persino il sospetto di avere “simpatie” comuniste si traduceva nella morte civile della persona.

Dalton Trumbo, pur di restare fedele ai suoi ideali, scontò con dignità la sua pena, subendo l’ostracismo degli Studios. Nonostante ci fossero contratti attivi, infatti, il suo nome fu messo al bando in quanto sospettato di essere filo-sovietico. Contro Trumbo si batté soprattutto Hedda Hopper (Mirren), una giornalista di gossip. La donna guidava con fermezza la sua crociata contro i comunisti, screditando la persona dal punto di vista sociale e umana.

Una volta uscito di prigione Dalton iniziò quindi a scrivere sotto falso nome, lavorando per tredici anni insieme a Frank King (Goodman), un produttore di film a basso costo. Per l’uomo e la famiglia furono anni difficili, di sacrifici e isolamento. Il talento e la creatività di Dalton, però, si rivelarono più forti di qualunque lista nera e lo sceneggiatore conquistò, sotto falso nome, due Oscar, per “Vacanze Romane” e “Il buio dell’anima”, ridicolizzando, di fatto, gli inquisitori.

Quella di Dalton Trumbo è una tipica storia americana, da cui emergono il coraggio e l’onesta di un uomo che mai piegò la testa di fronte all’ottusità del governo e di chi pretendeva di far passare il pensiero unico. Dalton Trumbo fu sì un comunista, ma soprattutto una persona attenta ai diritti dei lavoratori.

La sceneggiatura del film di Jay Roach è ben scritta, curata, ma probabilmente più adatta a toccare le corde intime del pubblico americano che di quello italiano. Sicuramente la pellicola mette in luce una delle più grandi contraddizioni della società a stelle e strisce, che se da una parte si eleva a paladina globale di libertà praticamente dall’inizio del Novecento, dall’altra non è estranea a deprivazioni sui diritti dei suoi stessi cittadini.

Pur presentando una regia di taglio televisivo, il film è nel complesso di discreta fattura, anche se il ritmo non sempre è costante. La scelta narrativa di presentare Trumbo come il buono e Hedda e gli altri membri della Commissione come i cattivi forse è un po’ troppo semplicistica; il clima dell’epoca, così, non viene reso in tutta la sua complessità.

Il peso dell’intero film si regge sulle solide ed esperte spalle di Bryan Cranston, che merita sicuramente la nomination all’Oscar come migliore attore protagonista, per l’intensità interpretativa, la forza e il carisma mostrati nel dare vita a un personaggio realistico, dal grande spessore umano e intellettivo.

Il finale positivo, che tende un rametto di ulivo verso il passato, sebbene un po’ buonista e di maniera, renda onore non solo al geniale sceneggiatore, ma soprattutto all’uomo virtuoso e coerente che fu Dalton Trumbo.

 

Il biglietto da acquistare per “L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo” è: 1)Nemmeno regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre.





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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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