Al cinema: Ogni maledetto Natale

Ogni maledetto Natale

Un film di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo. Con Alessandro Cattelan, Corrado Guzzanti, Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Francesco Pannofino, Laura Morante, Caterina Guzzanti, Alessandra Mastronardi, Stefano Fresi, Andrea Sartoretti. Commedia, 95′. 2014.

Ci sono due modi per affrontare il Natale: puoi fingere di essere buono e trascorrere le feste diventando peggio del Joker di Batman, dipingendoti su volto un sorriso che con il passare delle cene e dei pranzi si trasformerà in un ghigno, oppure puoi scegliere di chiuderti in casa, non aprire a nessuno e sopravvivere al buonismo dilagante, ai parenti serpenti e agli obblighi sociali, magari andando in letargo fino al 7 gennaio.

Sotto le feste, statistiche alla mano, aumentano i suicidi, le coppie che scoppiano e i litigi in famiglia. Sembrerebbe proprio che il periodo natalizio faccia uscire il lato peggiore di ognuno di noi – basta osservare cosa avviene il 24 dicembre nei negozi e per le strade delle nostre città, con l’isteria e la cattiveria che diventano protagonisti. Sono cinico, dite? Magari lo fossi fino in fondo, almeno il mio tasso di malinconia non aumenterebbe in maniera esponenziale.

Natale è il periodo peggiore per le neo-coppie, chiamate a una serie di prove estenuanti, per amore del compagno. Ma l’Amore può sopravvivere alle cene in famiglia e alle feste? Una domanda che si pongono gli autori dell’acclamata serie tv “Boris”, che decidendo d’indagare e raccontare in una pellicola come la società italiana viva il Natale nel 2014.

Un viaggio che inizia come una favola, quando due giovani, Massimo (Cattelan) e Giulia (Mastronardi) si incontrano per caso e si innamorano. La loro storia, nata alla vigilia di Natale, mette i due di fronte a un bivio: passare le feste insieme o con le rispettive famiglie? Giulia, desiderosa di stare con Massimo, gli propone di trascorrere la vigilia insieme alla sua famiglia, in un piccolo paesino nel Viterbese. Massimo accetta, trovandosi così catapultato tra i surreali e grotteschi componenti della famiglia Colardo. Personaggi che sembrano usciti dalle pagine di Kafka, ma che potete vedere anche come una degenerazione del cinema realista di Luchino Visconti.

Attraverso lo sguardo sperduto e incredulo di Massimo osserviamo i riti e le baruffe che si creano all’interno del clan Colardo. Ridiamo dei fratelli Aldo (Pannofino) e Sauro (Guzzanti), che nonostante i dissidi personali decidono di trascorrere insieme la cena della vigilia; scopriamo “la spurchia”, un nuovo modo di giocare a carte, di cui Tiziano (Mastandrea) è un fuoriclasse; assistiamo con curiosità al rito della caccia al cinghiale dove Zio Fano (Giallini) e gli altri Colardo sparano, nonostante l’opposizione di mamma Maria (Morante) che ha nella messa l’unico svago.

Se i Colardo rappresentano la tradizione e il calore del Natale in famiglia, i Lops, la famiglia di Massimo, guidati dall’avido industriale Marc’Antonio (Pannofino) sono l’immagine di quello che diventano le feste per chi ha a cuore il rendiconto societario più che il pranzo del 25. Una famiglia per cui l’assegno annuale di solidarietà consegnato alla associazione Caritan è un evento mondano e neanche il suicidio di un cameriere filippino per una delusione d’amore porta a cambiare i programmi, stabiliti dalla nobildonna Ludovica (Morante).

La sceneggiatura è ben scritta, divertente, pungente, ironica, ma ha il demerito di rimanere a metà del guado. Guardando il film si ha la sensazione che l’irriverente trio di Boris, entrando nel “sancta sanctorum” dei cinepanettoni con l’ambizione di mettere alla berlina luoghi comuni e abitudini degli italiani, invece di colpire con la clava siano andati di fioretto. Non hanno avuto fino in fondo il coraggio di spingere su cinismo e cattiveria, forse condizionati e penalizzati dal discutibile marchio “d’interesse nazionale” avuto dal Ministero dei beni culturali. Un testo che aveva le potenzialità per essere forte e incisivo, risulta mancante del quid decisivo per diventare memorabile e vincente fino in fondo. I dialoghi sono ben costruiti, feroci, diretti e soprattutto ben interpretati dal cast.

La regia di un film corale è sempre difficile. Gestire varie personalità, e soprattutto riuscire a farle suonare all’unisono, senza steccare una nota, è complesso. Il trio ci riesce, esaltando i pregi del cast, costruendo una storia con un buon ritmo narrativo e tenendo anche vivo l’interesse del pubblico.

È positivo l’esordio di Alessandro Cattelan. Personalmente ero un po’ scettico, ma nel complesso il neo-attore mostra una discreta disinvoltura e freschezza, rendendo credibile il suo personaggio. Deve continuare a studiare, certo, ma non è da considerare un intruso nell’attuale panorama del nostro cinema. Alessandra Mastronardi, invece, deve capire cosa vuole fare da grande. Il ruolo da “fidanzatina d’Italia”, a 28 anni, inizia a essere soffocante. Un prestazione lineare, la sua, ma priva di quel guizzo espressivo o emotivo che colpisce lo spettatore in sala. Come coppia Cattelan e la Mastronardi non convincono, lasciano freddo lo spettatore. Sono giovani e belli, ma non è sufficiente per regalare un’emozione.

In un film corale dove tutti gli attori sono talentuosi e intensi è difficile stabilire una classifica di merito, ma non si può non rendere onore al trasformismo di Valerio Mastandrea, capace, in un solo film, di mettere in scena due personaggi cosi differenti e convincenti: il truce campagnolo e il bigotto manager, accomunati da un tono di farsa mai eccessivo. Menzione anche per il ruolo di mattatore istrionico di Corrado Guzzanti – sono sue le scene più divertenti e riuscite del film. Pannofino e Giallino si confermano attori completi e intensi, capaci di interpretare ogni ruolo con facilità e bravura. Stefano Fresi è un “peso massimo” della comicità che non ha nulla da invidiare al collega Giuseppe Battiston. Sono meritevoli di applausi anche le interpretazioni di Sartoretti, Morante e Guzzanti,: appaiono in poche scene, ma sono incisive e riuscite.

Il finale è la parte meno riuscita del film: forzatamente a lieto fine, rovina almeno in parte “lo spirito” della storia. Storia da cui lo spettatore può trarre ispirazione per sopravvivere al rito del natale, magari riuscendo anche a tenersi stretto il partner.

 

Il biglietto d’acquistare per “Ogni Maledetto Natale” è : 1) Neanche regalato; 2) Omaggio; 3) Di pomeriggio; 4) Ridotto; 5) Sempre.


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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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