“All the beauty and the bloodshed”: tra arte, presa di coscienza e protesta

Il documentario di Laura Poitras racconta la vita, la carriera e le battaglie di Nan Goldin

Un film di Laura Poitras. Documentario, 113′. USA 2022

Nel 2018, insieme all’associazione da lei fondata, PAIN (Prescription Addiction Intervention Now), la nota fotografa Nan Goldin è protagonista di un’azione di protesta presso il MET di New York. È la prima di una serie di contestazioni plateali che puntano alla cancellazione del nome della famiglia Sackler (fondatrice e proprietaria di una delle più importanti case farmaceutiche statunitensi) dall’elenco dei nomi dei sostenitori e dalle sale o donazioni a loro intitolate. Il primo passo simbolico per denunciare le micidiali ricadute del fenomeno noto come “epidemia degli oppioidi”, il consumo massiccio e indotto di farmaci a base di ossicodone (che provocano una forte dipendenza e portano a dipendenze maggiori): centosettemila morti per overdose negli Stati Uniti solo nel 2021, con tutte le conseguenze sociali ed economiche derivanti.

 

The wrong things are kept private, and it destroys people. (Nan Goldin)

Denuncia, ribellione, arte, racconto di una discesa agli inferi e di una risalita, sfociata nella presa di coscienza ma anche nell’impegno a lottare contro i presunti responsabili: nel documentario “All the beauty and the bloodshed” di Laura Poitras, vincitore del Leone d’oro a Venezia e presentato anche al London Film Festival, convivono molte anime diverse.

Basandosi su filmati di repertorio, fotografie e interviste, la Poitras intreccia due narrazioni. Da un lato c’è il racconto della vita e della carriera della fotografa statunitense Nan Goldin, a partire dalla perdita della sorella Barbara, morta suicida nel 1968, quando lei aveva solo undici anni, evento che segnerà profondamente il suo percorso di crescita. Dall’altro quella della caduta della famiglia Sackler, proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma, ritenuta responsabile dell’epidemia di oppioidi negli Stati Uniti, iniziata alla fine degli anni ’90. 

Laura Poitras, vincitrice dell’Oscar per il miglior documentario con “Citizenfour” nel 2015, ha iniziato a lavorare al film nel 2019, attratta dalla storia della dinastia farmaceutica dei Sackler e dal ruolo da essa svolto nell’epidemia da oppiacei.

Durante gli incontri con Nan Goldin, però, si sarebbe resa conto “che il nucleo del film è costituito dall’arte, dalla fotografia di Nan e dall’eredità dei suoi amici e della sorella Barbara. Un’eredità di persone in fuga dall’America”. E questa anima duplice e multiforme si percepisce tutta, durante la visione. 

“All the beauty and the bloodshed” è l’incontro tra due personaggi impegnati, una collaborazione che sfocia in un racconto che è anche una chiamata alle armi. È il ritratto di un’artista, che ha preso i propri traumi familiari e le cicatrici di una vita vissuta a mille e li ha usati per alimentare la sua arte. Ma è anche il ritratto di un’attivista e un’opera di protesta in quanto tale.

Un film impegnativo, che solleva una serie di questioni interessanti e offre diversi spunti per approfondire.

Una notazione finale sul titolo originale (che in italiano è stato quanto meno mantenuto, anche se con l’aggiunta di una sorta di traduzione). Questo è tratto da un rapporto psichiatrico riguardante la sorella di Nan, Barbara, una giovane anticonformista e sessualmente libera, in netto contrasto con la società americana perbenista di fine anni ’60. La frase in questione raccontava come Barbara vedesse tutto ciò che il mondo aveva da offrire ma al contempo non riuscisse a trovare il suo posto da nessuna parte. La sue perdita ha segnato profondamente la Goldin e il film ne parla in apertura e in chiusura, come in un immaginario cerchio. 

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