“Artemisia Gentileschi e il suo tempo”: la mostra a Roma fino al 7 maggio

di Eleonora Savona

 

Novanta opere che coprono gli anni tra il 1610 e il 1652 per conoscere Artemisia Gentileschi, la pittrice italiana vissuta durante la prima metà del XVII secolo.

La mostra “Artemisia Gentileschi e il suo tempo” resterà a Palazzo Braschi a Roma fino all’8 maggio.

 

ARTEMISIA GENTILESCHI: VITA E OPERE

Artemisia Gentileschi, Onofrio Palumbo, Susanna e i vecchioni

Artemisia Gentileschi è una delle poche pittrici donna protagoniste della storia dell’arte europea, eppure troppo spesso il valore delle sue opere è stato messo in ombra dalle sue turbolente vicende biografiche.

Figlia del pittore toscano Orazio Gentileschi, sin da bambina Artemisia ha la fortuna di frequentare, assieme ai fratelli, la bottega del padre e di entrare in contatto con una dimensione altrimenti preclusale in quanto donna.

La sua prima opera, datata 1610, “Susanna e i vecchioni” rispecchia non solo le caratteristiche “caravaggesche” assorbite dal padre, ma anche le influenze della scuola bolognese dei Carracci. L’attenzione viene catturata dalla figura femminile, protagonista – come spesso accade nelle sue opere – ma assoggettata alle due figure maschili.

Biografia e arte di Artemisia Gentileschi si intrecciano e si compenetrano, sempre. Se in Susanna molti critici hanno visto un’immagine della giovane sottoposta all’autorità paterna, la seconda figura maschile altri non sarebbe che Agostino Tassi, esperto di prospettiva che venne presentato alla giovane dal padre.

Tassi venne accusato di stupro nel 1612 da Orazio stesso, e il processo che ne seguì fu lungo e doloroso per la giovane Artemisia, come donna, ma anche come artista – per consolidare la veridicità della sua testimonianza le vennero infatti schiacciati i pollici.

Conclusosi con una pena irrisoria per Tassi, il processo segnò la vita dell’artista Gentileschi in modo indelebile.

Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne

In “Giuditta che decapita Oloferne” (1614) si nota come la figura femminile non è più vulnerabile e indifesa, ma taglia con estrema violenza la testa dell’uomo, quasi a esorcizzare una vicenda biografica tanto dolorosa.

Successivamente, per riacquistare uno status di sufficiente onorabilità, il padre combinò per Artemisia un matrimonio con un modesto artista fiorentino, e con questo lasciò Roma.

Nel periodo fiorentino la pittrice conobbe un meritato successo: fu la prima donna ad essere accettata nell’Accademia delle arti e del disegno e fu in buoni rapporti con importanti personaggi dell’epoca come Cosimo II de’ Medici e Galileo Galilei. Sono da attribuire a tale periodo la “Conversione di Maddalena” e “La Giuditta con la sua ancella”.

Successivamente Artemisia tornò a Roma per un breve periodo; fu poi a Venezia e infine a Napoli, città dove rimase per il resto della vita.

 

LA FORTUNA DI ARTEMISIA GENTILESCHI NEL 1900

Artemisia Gentileschi, Giuditta e la fantesca Abra

Nonostante Artemisia Gentileschi sia stata un’artista riconosciuta e apprezzata in vita, è solo dopo la pubblicazione del saggio “Gentileschi padre e figlia” di Roberto Longhi, nel 1916, che il Novecento – o meglio le correnti femministe – si accorgono di lei, portandola alla popolarità.

La donna che trapela dalle sue opere supera gli stereotipi della sua epoca, il ruolo di figlia e di moglie, incarnando la semplice volontà di affermarsi nella società come artista.

Negli anni Settanta le sue opere vengono esposte al County Museum di Los Angeles, in una mostra intitolata “Women Artists 1550-1950”: per la prima volta viene riconosciuto il percorso artistico della pittrice oltre i confini italiani, e questo ne sancisce definitivamente l’indipendenza artistica dalla figura paterna.

Le opere e la figura di Artemisia Gentileschi sono oggetto di studio e di critica per tutta la seconda metà del Novecento, con la figura di donne sempre più scissa da quella di artista.

Infatti, ad oggi, il femminismo non può più essere l’unico filtro da prendere in considerazione, quando si parla di lei, se non si vuole banalizzare e limitare il talento della pittrice nel suo essere donna-artista.

Dalle sue opere trapela la volontà di mostrare e affermare una personalità che non si riduce all’esperienza biografica, per quanto questa sia incorporata in ogni tela, e il talento di un’artista nata in un’epoca che le era, in quanto donna, avversa, ma che non è riuscita a soffocarla.

Ed è tutto questo che sarà possibile ammirare al Palazzo Braschi fino all’8 maggio.





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