“Balto e Togo – La leggenda”: un’impresa memorabile a cui il film non rende giustizia

Tratto dalla storia vera del guidatore di slitta Leonhard Seppala e del suo cane, che salvarono Nome dalla difterite nel 1925

Un film di Brian Presley. Con Brian Presley, Treat Williams, Brad Leland, Henry Thomas,  Bruce Davison, Will Wallace. Avventura, 87′. USA 2019

Leonhard Seppala arrivò in Alaska dalla Norvegia, come tanti, per cercare l’oro. Non lo trovò mai ma trovò l’amore di una donna Inuit e divenne uno del suo popolo, in contatto con lo spirito più profondo di quel luogo impervio. Alla prematura morte della moglie restò solo con la figlia Sigrid e, quando nel 1925, la piccola rischiò di morire per difterite, insieme a tanti altri bambini della cittadina di Nome, Sepp prese con sé il vecchio cane da slitta Togo e percorse il tratto più lungo della famosa staffetta di musher che recuperò il siero e salvò Nome dallo spettro di una terribile epidemia.

 

Basato su una storia vera, quella dell’epidemia di difterite che nel 1925 colpì la cittadina di Nome, in Alaska, e dell’epica staffetta di slitte trainate dai cani che recuperarono il siero necessario a salvare i malati, “Balto e Togo – La leggenda” si concentra sulla figura di Leonhard Seppala e del suo cane, di cui finora si è saputo poco.

Per decenni, infatti, l’onore dell’impresa è stato attribuito a Balto, il siberian husky che ha percorso l’ultimo tratto di strada e consegnato materialmente l’antitossina nelle mani del dottore del piccolo ospedale del Nord. A lui è stata eretta una statua in Central Park, a New York, e sono stati dedicati tre film d’animazione.

Nessuno o quasi conosceva il nome di Seppala e quello di Togo, i veri eroi dell’impresa, che percorsero qualcosa come quattrocento miglia, con temperature che toccarono i quaranta gradi sotto lo zero, dimostrando che il coraggio dell’uomo e la fedeltà di un cane potevano arrivare là dove non erano capaci di arrivare né gli aerei né le navi.

Scritto, diretto e interpretato da Brian Pressley, il film passa da interni statici e drammaticamente piatti alle cupe rappresentazioni del freddo, della nebbia e delle bufere di neve lungo il percorso. Il suo principale problema, però, è la mancanza di una dimensione veramente cinematografica.

Dei Balto e Togo del titolo italiano – quello originale, “The Great Alaskan Race”, quanto meno confonde di meno – nella pellicola c’è a malapena traccia. Seppela stesso, per quanto presente, non ha un ruolo, non resta impresso per niente di memorabile, non spicca.

L’impresa dei musher (guidatori di cani da slitta) ci viene mostrata solo in sequenze in bianco e nero, commentate da un reporter radiofonico. Un po’ poco, per una storia epica che avrebbe sicuramente meritato maggiore pathos ed enfasi.

 

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