BFI London Film Festival: tempo di vincitori, bilanci finali e novità

“What You Gonna Do When The World’s on Fire” di Roberto Minervini è il miglior documentario

Si è conclusa sabato 20 ottobre la sessantaduesima edizione del BFI London Film Festival. Anche quest’anno ne abbiamo viste delle belle, tra film che hanno trattato di grandi temi sociali ed altri che hanno regalato al pubblico forti emozioni. Ma, come in tutte le grandi competizioni, il vincitore può essere solo uno.

A sorpresa, lasciando spiazzati gli addetti ai lavori, per la prima volta i vincitori sono stati annunciati davanti a un pubblico di (fortunati) ignari che, a conclusione della proiezione, si sono trovati protagonisti inconsapevoli dell’annuncio. A riprova del fatto che, nel cinema di oggi, tutti abbiamo un ruolo.

Il miglior film della sezione Official Competition è “Joy” di Sudabeh Mortezai. Incentrato su di una giovane donna nigeriana, vittima del racket della prostituzione, è stato descritto dalla giuria come una provocante storia di resilienza all’interno del più inumano degli ambienti. Nonostante molti altri film abbiamo trattato questo tema nel corso del festival, giocano a favore di “Joy” sia l’approccio documentarista della regista sia il punto di vista femminista adottato nella narrazione che agevolano l’empatia tra il pubblico e la protagonista.

Una scena del film “Girl” di Lukas Dhont.

Va invece a “Girl” di Lukas Dhont il premio Sutherland assegnato nella sezione First Feature. La storia della ragazza transgender che sogna di diventare ballerina, ha colpito la giuria per il coraggio con cui è stato esplorato un tema tanto delicato, e la credibilità del risultato finale.

È invece con molta soddisfazione – e orgoglio nazionale – che salutiamo la vittoria di Roberto Minervini e del suo “What You Gonna Do When The World’s on Fire” nella sezione documentari. Come avevamo già fatto noi nella recensione e nelle interviste, anche la giuria ha avvertito l’urgenza della pellicola, ma anche la forza e la finezza di racconto del regista. La storia di Judy e della sua comunità ha ottenuto voto unanime dai giurati.

Con questa nota positiva salutiamo l’edizione 2018 del Festival, e chiudiamo con un piccolo bilancio. Nella loro diversità, i film di quest’anno hanno portato a Londra una ventata di umanità e di attenzione per l’altro necessarie in una società come quella in cui viviamo oggi.

Judy Hill in una scena del documentario “What You Gonna Do When The World’s on Fire” di Roberto Minervini.

Nonostante solo il 38% dei registi presenti fossero donne, la percezione che si ha è di un cinema che sta provando davvero a cambiare. I discorsi femministi hanno cambiato le carte in tavola, portando a riflettere sul diritto di tutte le realtà del mondo a essere rappresentate in modo eguale.

Ed è proprio questo il messaggio finale e l’auspicio del London Film Festival: che il cinema si arricchisca sempre più di narrazioni anticonvenzionali, di vicende necessarie da raccontare.

Un messaggio semplice e allo stesso tempo profondo che ci lascia con tanta voglia di vedere cosa accadrà il prossimo anno. Soprattutto adesso che la direzione artistica passa a una donna come Tricia Tuttle, protagonista del mondo del cinema londinese e già madrina del BFI London Lesbian and Gay Film Festival. Un passaggio di direzione che fa presagire tante sorprese per la prossima edizione.

Allora, arrivederci al prossimo anno!

 

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Federica Gamberini
Bolognese di nascita, cittadina del mondo per scelta, rifugge la sedentarietà muovendosi tra l’Inghilterra (dove vive e studia da anni), la Cina, l’Italia e altre nazioni europee. Amante della lasagna bolognese, si oppone fermamente alla visione progressista che ne ha la signorina Lotti, che vorrebbe l’aggiunta della mozzarella. Appassionata di storie, nel tempo libero ama leggere, scrivere, guardare serie TV e film, e partecipare a quanti più eventi culturali possibile.

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