di Eleonora Savona

 

Un film di Brian Goodman. Con Antonio Banderas, Jonathan Rhys Meyers, Piper Perabo, Abel Ferrara, Vincent Riotta. Thriller, 93’. USA, 2017

 

La farfalla nera, o falena, in molte culture è associata all’idea della morte, della fine di un ciclo. Brian Goodman, invece, la utilizza nel suo film “Black butterfly” come simbolo di forza e libertà.

Jack (Rhys Meyers), vagabondo fresco di prigione, viene ospitato da Paul (Banderas) – in realtà Pablo, ma Paul suona meglio – nella sua casa ritirata in montagna come ringraziamento per averlo salvato da un’aggressione.

Da una notte sola che gli era stata offerta, però, Jack decide di trattenersi di più in cambio di piccole riparazioni che devono essere fatte.

Paul è uno scrittore/sceneggiatore che vive un blocco creativo da quando la moglie lo ha lasciato. Isolato nel suo cottage in attesa dell’ispirazione si lascia andare all’alcool e all’autocommiserazione.

In breve tempo l’interesse di Jack va oltre il bricolage casalingo e si concentra sempre più sui dettagli della vita di Paul, fino a che non propone all’altro di scrivere una storia sulla loro esperienza. Per assicurarsi che lo faccia, lo isola dall’esterno, finendo per tenerlo prigioniero nella sua stessa casa.

Intanto, nel mondo fuori, un’altra donna è scomparsa, una famiglia è disperata, la polizia indaga.

Dopo una fase iniziale in cui si ha l’impressione che la storia abbia difficoltà a ingranare, la narrazione diventa sempre più incalzante, con un susseguirsi di colpi di scena che diventano via via sempre più assurdi.

Purtroppo il rischio, quando si ricerca in modo costante e spasmodico l’effetto sorpresa, è quello di togliere forza agli avvenimenti stessi, di mettere tutto ciò che accade su un unico piano, un piano in cui ci si può aspettare di tutto, ma dove niente ha vera rilevanza.

Jonathan Rhys Meyers in una scena del film. Black butterfly (2017)

Tanti i rimandi che vengono in mente guardando “Black butterfly”– da “Shutter Island” a “Inception” passando per “Fight club –, tanti i possibili sviluppi che purtroppo non si concretizzano.

Niente da dire del cast, di Antonio Banderas in particolare, che, nonostante gli spot della Mulino Bianco e la mano alla fronte a simulare il mal di testa, risulta credibile nella parte dello scrittore alcolizzato e depresso.

Lo stesso vale per Jonathan Rhys Meyers che, aiutato anche dai suoi particolari tratti somatici, risulta sempre bene quando è chiamato a interpretare personaggi ambigui e inaccessibili.

Il film aveva tutte le carte in regola per essere un buon thriller. Purtroppo il suo punto debole risulta essere proprio la sceneggiatura, che non scava in profondità e non porta a compimento le premesse.

Prendiamo ad esempio la volontà di Jack di forzare Paul a indagare la realtà attraverso il racconto, il fantastico, come se la realtà potesse essere plasmata dalle parole e dall’immaginazione. Questo spunto si affaccia all’inizio del film ma poi si perde, viene abbandonato. Così come molti altri.

Alla fine tutto si riduce alla volontà di sorprendere chi guarda. Ma dopo tanti colpi di scena la chiusura di “Black butterfly”, invece che stupire, lascia dubbiosi e quasi infastiditi.

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