“Calibro 9”: un film di genere che guarda al passato ma non convince

Sequel ideale del film cult del 1972 di Fernando De Leo, stecca sotto tutti i punti di vista

Marco Bocci in una scena di "Calibro 9".

Un film di Toni D’Angelo. Con Marco Bocci, Ksenia Rappoport, Barbara Bouchet, Michele Placido, Alessio Boni. Azione. Italia 2019

Le ‘ndrine dei Corapi e degli Scarfò sono in guerra, e in mezzo a loro finisce l’avvocato penalista Piazza, che aveva ordinato a una hacker di dirottare un trasferimento fondi da cento milioni rimbalzato attraverso mezzo mondo e si è visto soffiare sotto il naso il bottino dalla hacker stessa. Il bottino apparteneva alla ‘ndrangheta e si sa, “rubare alla mafia è un suicidio”: dunque Piazza è un uomo braccato a livello internazionale. A dargli una mano è Maia Corapi, che è stata la sua compagna molti anni prima, ed ora ha ricevuto l’incarico di proteggerlo. Intorno ai due si aggirano un commissario che “si è stancato di perdere” e un ex carcerato, Rocco Musco, che molto tempo prima ha ucciso l’assassino del padre di Piazza, Ugo.

 

Il film di Tony D’Angelo “Calibro 9” è stato concepito come il sequel del cult “Milano Calibro 9” di Fernando De Leo (1972). Il genere poliziesco vecchio stampo incontra le nuove tecnologie per raccontare come oggi la criminalità organizzata si sia modernizzata, rimanendo comunque “old style” nella gestione dei problemi.

Personalmente non ho mai amato questo genere di pellicola, pur riconoscendogli la sua dignità cinematografica e il valore socio-culturale, essendo nati in un periodo storico molto travagliato per il nostro Paese.

Seppure lodevole, l’ambizione di Tony D’angelo e degli altri sceneggiatori di scrivere una nuova pagina di questa epopea criminale è naufragata nel passaggio dall’idea alla messa in scena.

“Calibro 9” stona sotto ogni punto di vista: è anacronistico, caotico nell’intreccio, eccessivo nei toni, caricaturale nella presentazione ed evoluzione dei personaggi. Tutto quanto di buono è stato fatto negli ultimi anni nel raccontare il mondo del crimine da progetti come “Gomorra” viene spazzato via.

L’idea era quella di realizzare un film di genere, ma il pubblico si trova davanti agli occhi un progetto confuso, approssimativo, senza visione d’insieme. Dispiace per gli interpreti (Marco Bocci, Alessio Boni, Michele Placido, soprattutto Ksenia Rappoport) ma qui toccano uno dei punti più bassi delle rispettive carriere.

A “Calibro 9” manca del tutto il pathos, e persino le scene più drammatiche e violente, quasi pulp, invece che generare emozione ed empatia portano chi guarda a soffocare un’amara risata. Buchi di sceneggiatura, salti temporali illogici, passaggi di scena che sanno di parodia più che di poliziesco: non manca davvero niente!

Mi dispiace scrivere queste parole cosi dure, ma penso sarebbe stato davvero meglio lasciare intatto il ricordo del primo “Calibro 9”, evitando magari anche di scomodare la leggendaria Barbara Bouchet per un cameo inutile e irritante.

 

Il biglietto da acquistare per “Calibro 9” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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