Cartolina dal Festival di Cannes: il meglio e il peggio dell’edizione 70

Vincitori e vinti del concorso internazionale, nomi da segnare sul taccuino, momento indimenticabili

Sono all’aeroporto di Nizza, in attesa di prendere il volo di ritorno per Roma.

Anche quest’anno il Festival di Cannes ha visto bene di giocarmi uno scherzetto, premiando con la Palma d’oro, a sorpresa, “The Square” del regista svedese Robin Ostlund, una delle poche pellicole in concorso che avevo scelto d’evitare.

Mi toccherà quindi un supplemento di Cannes nella Capitale, per recuperarlo e poter scrivere una recensione.

Che dire, sono stati tredici giorni faticosi, stressanti, interminabili, ma che rivivrei subito. Ho avuto la possibilità, per il secondo anno consecutivo, di vedere dal vivo attori, attrici e registi che prima avevo ammirato solamente sul grande schermo.

Avere l’opportunità di scambiare qualche parola con personaggi del calibro di Robin Wright, Will Smith, Jessica Chaistain, Diane Kruger, e poi stringer loro la mano dandosi appuntamento a settembre alla Biennale di Venezia sono probabilmente le vere gioie di questo non mestiere.

Come dite? Se ho fatto dei selfie con le star? Be’ diciamo che ci ho provato, ma i risultati sono la conferma che il mio rapporto con le nuove tecnologie non è proprio dei migliori.

Cannes ha festeggiato un compleanno importante, 70 anni, ma se devo essere sincero nessuno dei film in concorso mi ha fatto urlare al capolavoro, magari sarebbe stato più saggio promuovere alcuni titoli della Quizaine o di Un Certain Regard, piccoli gioielli.

Un’edizione passata anche a schierarsi tra due opposte fazioni – Netflix sì, Netflix no, altro che guelfi e ghibellini!

Cannes70 si è chiuso con le lacrime di Pedro Almodovar, durante la conferenza stampa finale della Giuria, che ha definito eroi i protagonisti del film francese “120 beats per minute” di Robin Campillo, vincitore del Gran Prix, ma probabilmente deluso dalla mancata Palma d’oro.

Non resteranno negli annali, probabilmente, ma negli occhi di fotografi e giornalisti sì le Converse indossate da Joaquin Phoenix, miglior attore per “You were never really were” di Lynne Ramsay sotto l’elegante smoking.

Cannes70 ha portato il primo grande riconoscimento per Diane Kruger, miglior attrice per “In the the fade” di Fatih Akin, ieri bellissima e raggiante.

È stato anche l’anno di Robin Campillo, il nuovo francese che avanza ci auguriamo, dopo che i big – da Ozon a Dillon – hanno ampiamente deluso.

Cannes70 ha confermato il valore autoriale di Yorgos Lanthimos, Efthimis Filippou e Lynne Ramsay premiati ex equo per la sceneggiatura di “The killing of a sacred deer” e “You were never really here“, e di Sofia Coppola miglior regista per “L’inganno”, seconda donna dopo Jane Campion a ricevere il riconoscimento.

Cannes70 è stato l’anno dei tributi a due mostri sacri del cinema come David Lynch e Clint Eastwood, che il sottoscritto, ahimé, non è mai riuscito a incrociare sulla Croisette.

È stato come di consueto il Festival dell’eccesso e della spasmodica ricerca dell’invitation, prima per le première al Gran Lumiere e dopo per le feste esclusive, e delle tre ore dormite per notte.

Cannes70 è stato tutto questo e molto altro, ma non mi dilungo e lascio ad altri il compito di parlarne. Anche perché il mio volo è stato annunciato e per quanto Cannes sia Cannes ho davvero voglia di un vero caffè italiano.

Au revoir, Cannes, ci vediamo tra un anno.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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