Cartoline da Venezia 77: vivere il Festival in tempo di pandemia

Tra nuove regole e restrizioni, eventi pubblici ridotti al minimo, abolizione dei red carpet e dei selfie

Nota preliminare per i lettori: questa che state leggendo è la cartolina più sofferta, travagliata e “sanificata” che il vostro inviato abbia scritto nella sua discreta carriera festivaliera.

Venezia 77 sembrava preclusa per Parole a Colori. Il Covid-19 e le stringenti, e doverose, norme sanitarie messe in campo dalla Biennale per rendere l’evento il più sicuro possibile mi avevano fatto pensare che, nel 2020, la mia astinenza da festival sarebbe continuata.

Il 26 giugno abbiamo incassato il primo rifiuto alla richiesta di accredito – “Siamo spiacenti, la situazione attuale ci impone una selezione delle testate e degli inviati” -; il 30 luglio il secondo – “Al momento per siti e blog la situazione non cambia”. E io già mi immaginavo un agosto torrido a Roma, tormentando la direttora con messaggi vocali.

Invece, il 5 agosto, il direttore Alberto Barbera, resosi conto che stando così le cose quest’anno non avrebbe ricevuto neppure una delle sue amatissime lettere aperte, ha rivisto la sua posizione. “Abbiamo il piacere di confermarle l’accredito. Tessera periodico”.

La direttora, serafica, ha commentato semplicemente: “Preparo la lista”. Io sono stato “costretto” a organizzare in fretta e furia la trasferta veneziana, quando negli anni precedenti i preparativi iniziavano già a giugno.

Cosa cambia, per noi e per tutti, a Venezia 77 rispetto al passato? Prima di tutto niente casa al Lido per il vostro inviato, ma traghetto giornaliero andata e ritorno, 20′ a tratta, per arrivare in loco. La mia valigia somiglia più a una farmacia, tra pacchi di mascherine di tutti i tipi, bottigliette di Amuchina, alcol e quant’altro.

Per evitare gli assembramenti, è stato deciso che anche la stampa prenoti i posti per le proiezioni, quindi le file si spostano dalla realtà al web. C’è l’obbligo di indossare la mascherina in sala e all’aperto, ma quanto meno la “scusa” della distanza di due metri sarà l’occasione per tenere lontani i colleghi antipatici o puzzolenti.

Non ci saranno i red carpet con il consueto contorno di fan, e la richiesta di selfie è messa al bando anche per strada, pena il trasferimento diretto al Billionaire di Briatore. Anche gli eventi pubblici come feste, cene e buffet sono drasticamente ridotti, e i maestri dello scrocco già piangono miseria.

La lista dei film da vedere è ridotta, data la situazione, ma se dovessi bucarne anche solo uno l’ira della Turillazzi sarebbe tremenda. Dopo anni, tornerò a beccarmi gli insulti e i rimproveri – bonari? – dell’amica e collega Federica Rizzo, per averle inviato solo foto sfocate e video senza audio; e le redattrici cinema di Parole a Colori, seppure da remoto, stanno già subendo il mio stalkeraggio festivaliero.

Venezia 77 è il primo festival di caratura internazionale del 2020 a svolgersi in presenza. Capiremo dopo il 13 settembre se la scelta è stata vantaggiosa a livello d’immagine, e commerciale. Dalle parti di Cannes i gufi sono pronti ad appuntarsi altri tipi di positività.

Il conto alla rovescia è terminato. Ieri ho preso un volo diretto Catania–Venezia, a seguire un autobus e infine un traghetto, un viaggio alquanto lungo indossando una mascherina. Il primo pezzo è scritto e inviato. Sono pronto al giorno 1. E intanto mi ripeto come un mantra, sperando che porti fortuna: “A Venezia 77… non ce n’è coviddi”.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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