“Che fare quando il mondo è in fiamme?”: il nuovo film di Minervini

Gli Stati Uniti sommersi della questione razziale, poco nota in Europa e poco raccontata dai media

Una scena del documentario "What you gonna do when the world’s on fire?"

Un film di Roberto Minervini. Con Judy Hill, Dorothy Hill, Michael Nelson, Ronaldo King, Titus Turner, Ashley King. Titolo originale: What you gonna do when the world’s on fire? Documentario, 123’. Italia, Francia, USA, Danimarca, Belgio 2018

Il costume di piume e perle brillanti di Big Chief Kevin Goodman, colto mirabilmente nell’epilogo dalla “fotosensibilità” di Roberto Minervini, è qualcosa difficile da comprendere per gli spettatori europei. Confluenza di minorità oppresse, è un costume di ispirazione indiana indossato da un afroamericano e cucito idealmente dal regista per rendere conto di quelle minoranze, di quei luoghi di forte métissage, dove convivono culture antiche e tradizioni radicate. Dopo l’incandescenza di “Louisiana”, ficcato nello stato omonimo, Roberto Minervini trasloca a Baton Rouge restando fedele a quella porzione di Sud venduto da Napoleone per quindici milioni di dollari. Se per il resto del Paese la Louisiana è una sorta di gigantesca festa permanente dove non ci si preoccupa che della musica e della cucina, dove la gente non fa altro che cantare e suonare nelle strade, la realtà smentisce lo stereotipo e rivela una complessità che impone rispetto.

 

Che fare quando il mondo è in fiamme? È la domanda angosciante, preoccupata e vitale che si pone il regista italiano Roberto Minervini, da anni residente negli Stati Uniti, nel suo documentario omonimo, presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2018.

Il mondo è come una donna sull’orlo di una crisi di nervi o, se preferite, come un vulcano pronto a esplodere e le avvisaglie di questo immane disastro sono evidenti, sotto gli occhi di tutti. La storia dovrebbe essere maestra di vita, aiutandoci a non commettere di nuovo gli stessi errori ma stando ai comportamenti dei governanti di mezzo mondo qualche dubbio viene…

Siamo nel 2018, nel terzo millennio, ma si ha la nefasta sensazione di essere tornati indietro nel tempo, agli anni in cui intolleranza, brutalità e violenza si dimostrarono le migliori armi di “distrazione di massa” per i regimi nazifascisti, impegnati nella conquista del potere e nella soppressione di ogni libertà.

Anche gli Stati Uniti sembrano vivere una stagione di restaurazione politica, economica e morale e si teme per il futuro dei diritti civili faticosamente conquistati negli anni. La questione razziale è riesplosa con forza in diverse città, riportando in auge parole, slogan e sigle che consideravamo estinti – Pantere nere, Potere nero, Klu Klux Klan.

Credete che sia tutta colpa delle politiche razziste e demagogiche del presidente Trump? La percezione europea della complessa e controversa realtà americana si dimostra spesso fallace o solo parzialmente corretta, non potendo contare su informazioni dirette ma filtrate da inviati che hanno smesso di sporcarsi le scarpe sul campo.

“Che fare quando il mondo è in fiamme?” è uno straordinario documento politico, sociale e investigativo realizzato da Minervini, che ha potuto riprendere una piccola comunità di afroamericani nel Mississippi, cogliendone gli umori, le idee, le paure e soprattutto la rabbia.

Quello di Minervini è un progetto ambizioso quanto intimistico e sincero, costruito con la precisa volontà di non mettere alcun tipo di filtro al flusso di parole dei personaggi che, nel corso delle oltre due ore di film (troppe), lo spettatore impara a conoscere.

Ognuno di voi, guardando il documentario, potrà trovare una propria chiave di lettura. Mi permetto quindi di lasciarvi una mia interpretazione. Dal girato emergono in modo netto due “convitati di pietra”: Barack Obama e Donald Trump.

Gli ultimi due presidenti degli Stati Uniti non sono mai nominati apertamente, non ci sono elogi per il primo né critiche per il secondo. Obama sembra non aver lasciato alcun segno in questi territori, e paradossalmente è considerato uno dei tanti nemici della comunità nera. Allo stesso modo Trump, presentato come un mostro sul nostro lato dell’Atlantico, qui non è percepito come l’ottava piaga d’Egitto.

La questione razziale in America ha radici lontane e profonde e finché non saranno presi seri provvedimenti culturali, sociali e soprattutto economici per risolverla, nessun presidente o governo, di qualunque colore, sarà degno di considerazione e rispetto da queste parti.

Resta da capire quanto tempo ancora rimanga prima che il fuoco ci distrugga tutti quanti.

 

Il biglietto da acquistare per “Che fare quando il mondo è in fiamme?” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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