“Cobra Kai”: una serie che con originalità rende giustizia a un cult

Johnny e Daniel ancora nemici giurati 34 anni dopo gli eventi della trilogia di "Karate Kid"

Una serie ideata da Jon Hurwitz, Hayden Schlossberg e Josh Heald. Con William Zabka,
Ralph Macchio, Xolo Maridueña, Mary Mouser, Tanner Buchanan.
Drammatico, commedia, sportivo. USA. 2018-in produzione

 

Togli la cera, metti la cera.
Colpisci prima, colpisci duro.
Nessuna pietà.

Chi, come il sottoscritto ha vissuto l’adolescenza da nerd nei “favolosi” anni ‘80 ha scolpite queste parole nella mente. Parole rese celebri dalla trilogia di “Karate kid” che ha infiammato una generazione, facendola diventare appassionata di arti marziali seguendo gli insegnamenti di vita del compianto maestro Miyagi.

I film portarono anche il pubblico a dividersi in due opposte fazioni: da una parte i sostenitori del bravo ragazzo Daniel La Russo, dall’altra chi apprezzava di più modi da bullo di Johnny Lawrence, allievo della scuola di pensiero dell’aggressivo dojo Cobra Kai.

La scena finale di “Karate kid”, con il drammatico match tra Daniel e Johnny e la vittoria del primo, nonostante una gamba rotta, è entrata di diritto nella storia del cinema. Esattamente trentaquattro anni dopo riprende il racconto della serie “Cobra Kai”, prodotta per Youtube Premium a partire dal 2018 e da agosto disponibile su Netflix.

Devo dire che le prime due stagioni sono state una piacevole scoperta. È stato un po’ come vivere un intenso Amarcord restando, però, ben ancorati al presente. Pur strizzando l’occhio ai vecchi fan della saga di Karate kid, infatti, “Cobra Kai” trova la chiave giusta per coinvolgere anche i giovani, ribaltando i ruoli e non limitandosi a “riesumare” vecchie glorie.

Nel presente, Johnny Lawrence è un uomo di mezz’età alcolista, fallito e prigioniero del proprio passato, mentre Daniel La Russo è diventato un ricco venditore di auto, ha una bella moglie ed è stimato da tutti.

Lo spettatore, dopo l’iniziale sorpresa, segue con crescente interesse e quasi con simpatia le vicende umane di Johnny, sostenendolo nella sua voglia di riscatto quando decide di rifondare il Cobra Kai, ma su basi diverse. Di contro, il successo sembra aver reso Daniel troppo sicuro di sé, quasi presuntuoso nella convinzione di essere sempre dalla parte della ragione.

È questo ribaltamento di ruoli e di prospettiva che conferisce alla serie una propria identità, e soprattutto una certa indipendenza dalla saga cinematografica. Quello che non è cambiato è l’odio tra i due protagonisti, che si rinfacciano l’un l’altro torti subiti e scorrettezze assortite, ma questa volta a combattere non sono loro in prima persona bensì i rispettivi figli.

“Cobra Kai” è una serie che diverte e commuove, e riesce, con originalità, efficacia e un pizzico di ironia, a modernizzare un cult del passato, aprendo anche un convincente spaccato sui ragazzi di oggi e sul tema del bullismo nelle scuole.

Se la serie funziona è anche merito del cast, dove vecchia guardia e volti nuovi si armonizzano alla perfezione. Il pubblico si troverà di nuovo in dubbio sulla parte con cui schierarsi: il dojo di Cobra Kai o quello in onore del maestro Miyagi?

Nel corso dei venti episodi non mancano i colpi di scena, i cambi di casacca e soprattutto i clamorosi ritorni, che inchiodano lo spettatore allo schermo fino al finale, drammatico quanto aperto. La serie tornerà l’8 gennaio con la terza stagione, e Netflix ha già fatto sapere che non sarà l’ultima. Nel frattempo, non ci resta che cercare l’equilibrio, come ci ha insegnato il saggio Miyagi.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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