Code, ritardi e libri scelti con cura: istantanee dal Salone di Torino

Come si fa a raccontare una giornata tra stand, incontri e personaggi più o meno famosi e più o meno osannati al Salone del Libro di Torino a chi, al Lingotto Fiere, non ci ha mai messo piede? Come si fa a trasmettere almeno una piccola parte della magia, della gioia di esserci, dell’emozione? Non è semplice, per questo mi sono sempre ben guardata dallo scrivere pezzi “riepilogativi” – nonostante, al Salone, io vada ormai ininterrottamente da 4 anni.

Stavolta ho deciso di andare controcorrente e provarci. Non tanto a raccontare l’assoluto, il totale – per questo ci saranno penne più illustri e sguardi più adatti del mio – ma a darvi qualche immagine, qualche istantanea, come recita il titolo del pezzo, appunto.

Code per entrare ai padiglioni di Lingotto Fiere.

Voglio iniziare con una considerazione generale ahi, sono caduta anche nella trappola dei ragionamenti astratti e filosofici. Per essere l’Italia un paese che non legge, un paese dove i libri non si vendono, le librerie chiudono, la cultura va beatamente alla deriva, nei padiglioni di Torino si incontra sempre una sconcertante moltitudine di persone! File fin dal mattino – il Salone apre alle 10 ma alle 9.30 nel piazzale antistante c’è già coda -, per entrare, per partecipare a questo e quell’evento, per comprare un romanzo. File un po’ da per tutto. Non voglio dire che si possa tastare il polso della situazione “italiani e lettura” semplicemente buttando un occhio al numero di persone che si accalcano per entrare da Angela o da Saviano, però insomma… Se uno decide di spendere 5/10 euro per partecipare al Salone e non, che ne so, giocarli al gratta e vinci, per come la vedo io è un buon segno.

Detto questo, code, lunghe attese – non sempre fruttuose – e ritardi assortiti hanno caratterizzato un po’ tutta la mia giornata. Alberto Angela si è confermato ancora una volta personaggio atteso e apprezzato, da grandi e piccini. L’archeologo e divulgatore ha tenuto per oltre un’ora il palco dell’Auditorium portando le oltre 1000 persone sedute in sala in un viaggio alla scoperta delle origini romane, e poi degli sviluppi fino a oggi, di San Pietro.

Se ad Angela è stato riservato il giusto spazio – e così tutti quelli che sono stati in coda hanno potuto sedersi – non si può dire lo stesso per Roberto Saviano e Marco D’Amore. Avendo lavorato “dietro le quinte” del Salone per due anni, so benissimo lo sforzo organizzativo che c’è dietro a questa cinque giorni. Collocare ogni incontro nel giusto spazio, gestire le masse, i cambi di relatori e tutto il resto non è una passeggiata, quindi lungi da me portare critiche a chi dà praticamente il sangue per far sì che tutto vada bene. Però a due personaggi come lo scrittore e l’attore, chiamati a raccontare “Gomorra” a 10 anni dall’uscita del romanzo, anche alla luce della messa in onda meno di 7 giorni fa dell’attesissima seconda stagione della serie tv, forse si sarebbe potuto riservare un palcoscenico diverso, una sala più grande. Capisco che in concomitanza con il loro incontro all’Auditorium si esibivano due mostri sacri del calibro di Enzo Bianchi e Massimo Recalcati, che di certo avranno richiamato pubblico, ma sono convinta che uno scambio di location tra i due appuntamenti avrebbe permesso alla folla assiepata per ore lungo il corridoio (io ODIO la sala gialla del Salone, posso dirlo? La seconda più grande posizionata purtroppo in modo davvero infelice) di partecipare e non vedersi stoppata dal tristissimo cartello “sold out”.

Marie Kondo, autrice del “Magico potere del riordino”.

Non sarà Saviano, ma l’autrice giapponese Marie Kondo – in dialogo con La Pina di Radio Deejay sul magico potere del riordino – ha avuto anche lei l’onore di lasciare fuori diverse persone (tra cui me) per scarsa capienza della sala. Qualche mugugno, tra chi si è sentito dire dai pazientissimi volontari in blu “l’ingresso da qui in avanti non è garantito”, ammetto che si è sentito.

Essere lasciati fuori non è piacevole, ma personalmente quello che mi attira davvero del Salone sono i libri – un certo autore o un certo personaggio, volendo, si ritrova sempre il modo di andarlo a sentire.

Ricordo ancora la mia delusione di neofita del Salone nel “lontano” 2013 quando mi resi conto che, degli editori agli stand, solo pochissimi facevano sconti sui romanzi in esposizione o proponevano offerte speciali (applauso a Fazi e Beat, che a mio avviso restano, tra i grandi nomi, ancora i migliori in questo senso). Da lettrice appassionata che non aveva mai frequentato mi aspettavo che l’obiettivo, per gli espositori, fosse quello di vendere più libri possibile e che il pubblico se ne tornasse quindi a casa con borse stracolme di titoli.

Si incontra ancora qualcuno che si dà all’acquisto compulsivo non badando ai prezzi – la palma di compratrice delle compratrici va sicuramente alla signora che, in un angolo riparato, ha aperto con nonchalance il suo trolley nero per riempirlo con cura, senza risparmiare un millimetro cubo, di romanzi – ma la maggior parte delle persone si limita a osservare e comprare, caso mai, uno o due titoli interessanti.

Una carrellata dei coloratissimi libri marcos y marcos.

Personalmente non capisco chi esce dal Salone con la sua bella borsa di carta targata Mondadori o Feltrinelli. Niente contro i grandi editori, ci mancherebbe, ma perché non sfruttare questo profluvio di proposte per provare qualcosa di nuovo, qualcosa che magari non trovate anche nella libreria sotto casa? Meditate gente, meditate.

Sabato di code, incontri sold out e tanta folla tra gli stand, nonostante il nubifragio che a metà pomeriggio ha colpito Torino – ma il bello del Salone non è anche che siamo al coperto? Oggi si replica con una nuova carrellata di grandi ospiti, appuntamenti da non perdere (se volete avere qualche speranza di farcela mettetevi in coda per tempo), qualche libro venduto. È anche questa la bellezza del Salone – per chi, come me, sa vederla e apprezzarla.





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