Commento semi-serio ai Golden Globes, che difficilmente cambiano

Poche sorprese e scelte dettate dalla politica e non solo dalla coscienza per "l'edizione Covid"

The show must go on, cantavano i Queen nel 1991, non potendo immaginare che questa frase sarebbe diventata un vero e proprio stile di vita, applicabile a ogni settore.

In questo anno di pandemia il mondo del cinema e della tv si è dovuto reinventare per non soccombere; gli spettacoli dal vivo corrono grossi rischi. Sono saltati Festival, cerimonie, eventi, le sale sono chiuse da mesi. Lo streaming è la “nuova” frontiera.

Impossibile negarlo: stiamo vivendo un momento di grande cambiamento, e non possiamo sapere se le cose, se e quando il Covid sarà passato, torneranno quelle di prima. Eppure eccoci qui a commentare i Golden Globe, come ogni anno. Perché certe cose, appunto, non cambiano mai.

Scorrendo la lista dei vincitori del cinema salta all’occhio la disfatta quasi completa di Netflix. Il super-favorito “Mank” di David Fincher, ad esempio, se ne torna a casa a mani vuote.

Foto credits: Gisele Schmidt/NETFLIX

Si tratta, secondo me, dell’ennesimo caso di pellicola incensata dagli addetti ai lavori ma di difficile visione per il “pubblico normale”. Un film bello ed elegante ma lungo e noioso. Magari agli Oscar farà incetta di premi, ma per adesso un – meritato – bagno di umiltà per lui.

Netflix evita la debacle totale con due Globe, a mio avviso di assegnazione più politica che artistica. Aaron Sorkin e “Il processo ai Chicago 7” si aggiudicano il premio per la miglior sceneggiatura; Chadwick Boseman quello, postumo, come migliore attore per “Ma Rainey’s Black Bottom”.

Sicuramente è stata la notte di “Nomadland” e della sua regista, la cinese Cholé Zhao, che ha sbaragliato la concorrenza di agguerriti competitor. È la seconda donna nella storia dei Globe a ottenere il premio per la miglior regia, e questo è già storico. Sui reali meriti, mi taccio.

Per ciò che riguarda il “versante commedie”, il mattatore di serata è “Borat – Seguito di film cinema”, ma vista la debolezza dei concorrenti non è una grande sorpresa. La pellicola non è all’altezza della prima, ma il successo di Sacha Baron Cohen è meritatissimo.

Come miglior film straniero – questo sì, a sorpresa – è stato scelto il sudcoreano “Minari”. Grande delusione per il nostro “La vita davanti a sé”, ma soprattutto per il danese “Un altro giro”, favorito assoluto della vigilia.

Se in generale sono piuttosto d’accordo con le scelte della giuria dei Globe, lasciatemi dire che la vittoria di “Soul” nella categoria film d’animazione, per quanto prevedibile, lascia l’amaro in bocca. “Wolkwalkers”, che abbiamo visto al London Film Festival, avrebbe meritato maggiore fortuna. E coraggio da parte dei giurati, di lasciare, per una volta, la vecchia strada Disney-Pixar e aprirsi al nuovo. 

Per quello che riguarda il mondo delle serie tv non ho molto da dire. “The Crown” e “La regina di scacchi” – due prodotti Netflix di assoluta qualità – erano i favoriti della vigilia e hanno rispettato i pronostici, aggiudicandosi i premi principali e lasciando agli altri le briciole.

Il 15 marzo verranno annunciate le nomination per gli Oscar, che saranno poi assegnati il 25 aprile. L’Academy ha promesso una cerimonia “in presenza” unica nel suo genere e che rispetti prima di tutto la salute pubblica. Staremo a vedere cosa si inventeranno.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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