“Concrete cowboy”: tra coming age e western post-moderno

Idris Elba nel film, poco entusiasmante, ispirato alla vera storia dei cowboy di Fletcher Street

Un film di Ricky Staub. Con Idris Elba, Caleb McLaughlin, Lorraine Toussaint, Jharrel Jerome, Method Man. Drammatico, 111′. USA 2021

Cole è un ragazzo di Detroit con seri problemi di condotta scolastica, tanto che sua madre mette insieme le sue cose, lo carica in macchina e lo lascia a Filadelfia di fronte all’abitazione del padre Harp. Questi è un uomo dalla forte etica, che proibisce al figlio di passare tempo con l’amico Smush, finito in un giro malavitoso, e cerca di trasmettergli il proprio stile di vita da cowboy metropolitano. Harp fa infatti parte del Fletcher Street Urban Riding Club, un gruppo di afroamericani che si dedica alla cura dei cavalli nel bel mezzo del ghetto di Philadelphia. Per Cole l’incontro con loro sarà una scuola di vita.

 

Non me ne vogliano gli amanti del genere western, i fan dei “coming age” oggi tanto di moda né gli appassionanti di cavalli e affini, ma il film “Concrete Cowboy”, disponibile su Netflix, lascia nello spettatore un senso di prevedibilità drammaturgica e strutturale, e di retorica esistenziale ed emotiva.

Indubbiamente la pellicola diretta da Ricky Staub ha il merito di svelare allo spettatore – soprattutto europeo – l’esistenza di una realtà inedita, radicata nella città di Filadelfia.

Personalmente non avrei mai immaginato che per le strade di questa grande metropoli americana si muovesse – a cavallo – una comunità di cowboy. Ma l’enorme potenziale narrativo della storia viene in gran parte dissipato da un lavoro arido e superficiale.

“Concrete Cowboy” cerca di mescolare tradizione e modernità, utilizzando come escamotage narrativo il disperato tentativo di una madre single di far maturare il figlio adolescente, evitando che imbocchi una strada sbagliata e senza ritorno.

Cole (un volenteroso e credibile Caleb McLaughlin) ha bisogno della figura paterna che fino a oggi gli è mancata. La trova in Harp (un Idris Elba alquanto sottotono) ma ovviamente il loro rapporto, soprattutto agli inizi, sarà estremamente conflittuale. Il tema è visto e rivisto, ma data l’ambientazione inedita poteva essere sfruttato meglio. 

Ricky Staub, sceneggiatore insieme a Dan Walser e regista esordiente, racconta con bravura e sensibilità la comunità cowboy afroamericana di Filadelfia, facendo sentire lo spettatore parte di questo “mondo nascosto”, ma senza costruire una solida cornice narrativa e mancando di approfondire a dovere i personaggi della storia.

“Concrete cowboy” finisce quindi per essere affascinante per ciò che riguarda l’ambientazione – con i cavalli che passano per le strade, le stalle improvvisate, i discorsi intorno al fuoco acceso dentro un bidone, come in una sorta di western post-moderno – ma purtroppo molto esile dal punto di vista drammaturgico.

Nonostante sia ispirata a una storia vera e abbia un libro come punto di partenza, la sceneggiatura manca di pathos e ritmo. I personaggi, poi, soprattutto Harp, sono privi di verve, abbozzati, trattati in modo superficiale. 

“Concrete Cowboy” è un’opera incompiuta, un’occasione sprecata di far conoscere al mondo questa comunità “invisibile”, che si muove per le strade di una metropoli a dorso di cavallo, riscoprendo un rapporto profondo con gli animali – e con loro stessi.

 

Il biglietto da acquistare per “Concrete Cowboy” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

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