Dhungwana 2117 | Gli annali di Dhungwana (2117-3451) | Parte I

Anno 2117, Terra: il territorio asciutto del pianeta, Dhungwana, è governato dalle Communities Federali e la vita umana, organizzata dal livello di social reputation, è scandita dal precetto “Appartengo, ergo sum”. Ian e Dayla vivono una vita tranquilla alle dipendenze della BlueGray Corporation. La loro brillante vita comunitaria e la loro social reputation iniziano a complicarsi quando Dayla intercetta casualmente alcuni dati finanziari secretati dalla Corporation e Ian identifica alcune modificazioni genetiche in uno dei principali alimenti di Dhungwana. Tutto quello che sembrava loro una quotidianità trasparente e cristallina comincia a trasformarsi in una forma ossessiva di déjà vu e le morti di due colleghi autorevoli, archiviate in maniera frettolosa da parte delle autorità, obbligano Ian e Dayla ad aprire gli occhi e a reagire insieme ai bannati di Dhungwana per affrontare la realtà di un mondo che non è più il loro e che ha messo sotto scacco la sopravvivenza del genere umano.

La fantascienza è uno dei generi più complicati da scrivere. Voglio partire da questa premessa, per esaltare a dovere il lavoro davvero notevole che i due autori Baibin Nightawk e Dominick Fencer hanno fatto per questa prima parte degli “Annali di Dhungwana“.

Quando si scrivere una storia fantascientifica non basta ideare una trama avvincente e dei buoni personaggi, servono anche un’attenzione al dettaglio quasi maniacale e una fantasia nell’ambientazione non comuni. Perché il libro funzioni, il mondo che si descrive deve essere, nel suo piccolo, perfetto, provvisto di tutti gli elementi propri del genere. Pensate quanto possa essere difficile immaginare un universo parallelo, un futuro per la razza umana dove tutto quello che conosciamo oggi sia solo un ricordo superato.

Ecco, i due autori riescono, in questa prima parte della saga, alla perfezione nel compito. Il lettore viene letteralmente trasportato a Dhungwana, il territorio asciutto del pianeta Terra, nell’anno 2117, dove la razza umana trascorre un’esistenza super-tecnologica e super-social. Sfido, leggendo, a non pensare che il nostro mondo potrebbe benissimo subire una deriva di questo tipo, tra un centinaio di anni. Le interazioni reali rimpiazzate da quelle virtuali; un mini-computer da polso che controlla i parametri vitali, fa da ID di riconoscimento, serve per ricevere le chiamate. E poi una casa dove i pasti si ordinano attraverso il computer, dove i robot domestici rimpiazzano le persone nelle faccende. È strano rendersi conto che questo scenario non ci sembra poi così improbabile, che siamo quasi preparati a essere sempre meno attivi e sempre più dipendenti dalla tecnologia.

Fantascienza e distopia si incontrano, nel dare vita a questa società che, naturalmente, è meno chiara, pacifica e pulita di come potrebbe sembrare a una prima, superficiale osservazione. Il mix, secondo me, è riuscito. La trama probabilmente non è delle più nuove – ci sono sempre persone in qualche modo diverse che si trovano a lottare contro un potere centrale che vuole omologare tutti e poi dettare legge indisturbato, nei libri come questo – però l’ambientazione basta da sola a rendere la lettura piacevole, divertente, inquietante.

Il personaggio di Dayla mi è piaciuto molto, perché è umano, credibile, comprensibile. All’inizio della storia conosciamo una donna in carriera, presa nel suo ruolo di analista, tutto sommato felice della sua vita privata e lavorativa. Eppure, anche se le cose le vanno bene, Dayla non ha paura di mettere in gioco tutto. Dayla non si lascia abbindolare per più di qualche minuto, Dayla capisce subito che c’è qualcosa che non va. Chiamiamolo sesto senso, chiamiamolo intuito femminile. Quel suo modo di voler scoprire la verità, il suo coraggio nell’andare contro un sistema e un modello sociale che le sono stati imposti fin dalla nascita la rendono simpatica a chi legge, un’eroina sui generis per cui fare comunque il tifo.

Se Dayla è un personaggio credibile e tutto sommato amabile, non si può dire altrettanto di Ian. Personalmente ho avuto difficoltà a sopportarlo, e anche a comprenderlo. Il fatto di aver paura a mostrare dubbi nei confronti del sistema, visto anche quello che è successo alle persone che lo hanno fatto, è lecito, il desiderio di continuare la vita di sempre e fare finta di niente anche. Però mentre Dayla rimane colpita da quello che le accade intorno e non può fare a meno di mettere tutto in discussione praticamente dal primo momento, lui è molto più restio. Il modo in cui a metà della storia tratta la fidanzata, quasi come fosse una malata di mente da denunciare alle autorità, mi ha infastidita non poco. Ian sembra troppo compreso nel suo ruolo di ricercatore e di capo, e poco umano, ecco.

Anche il suo cambiare parere e abbracciare le perplessità di Dayla prima, la ribellione aperta poi mi hanno lasciata perplessa. Temevo davvero che da un momento all’altro venisse fuori che stava facendo il doppio gioco e che il suo incoraggiare Dayla era solo un modo per portarla allo scoperto e segnalarla a chi di dovere. Non è successo, ma sulla sincerità di Ian ho ancora un bel punto di domanda.

Il ritmo della storia è particolare. Le cose succedono in fretta, e assistiamo a dei veri e propri salti in avanti, anche di mesi. Eppure non ci sono lacune, non ci sono vere zone d’ombra. La storia procede, ma nonostante tutto non corre. Va al suo passo.

Il finale, che poi finale non è, è particolarmente azzeccato. Come in ogni storia di fantascienza che si rispetti niente, per quanto già abbastanza particolare così, è come ci eravamo immaginati. C’è qualcosa che va oltre le vite di Dayla e di Ian, e dell’intera comunità di Dhungwana, un piano superiore. Non diciamo altro per non rovinarvi la sorpresa, ma quello di Baibin Nightawk e Dominick Fencer è senza dubbio un libro da leggere non solo fino all’ultima pagina, ma fino all’ultima riga.


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