Dimmi che credi al destino, Luca Bianchini

Ornella ama i cieli di Londra, il caffè con la moka e la panchina di un parco meraviglioso dove ogni giorno incontra Mr George, un anziano signore che ascolta le sue disavventure, legate soprattutto a un uomo che lei non vede da troppo tempo, e che non riesce a dimenticare. A cinquantacinque anni, Ornella si considera una campionessa mondiale di cadute, anche se si è sempre saputa rialzare da sola. Per fortuna può contare su Bernard, il suo vicino di casa, che la osserva da lontano e la conosce meglio di quanto lei conosca se stessa. L’ultima batosta, però, è difficile da accettare. La piccola libreria italiana che dirige nel cuore di Hampstead – dove le vere star sono due pesci rossi di nome Russell & Crowe – rischia di chiudere: il proprietario si è preso due mesi per decidere. Lei, che sa lottare, ha imparato anche a lasciarsi aiutare, e così chiama in soccorso la Patti, la sua storica amica milanese inimitabile compagna di scorribande – che arriva in città con poche idee e tante scarpe, ma sufficiente entusiasmo per trovare qualche soluzione utile a salvare l’Italian Bookshop. La prima è quella di assumere Diego, un ragioniere napoletano bello e simpatico, che fa il barbiere part-time, ha il cuore infranto e le chiama guagliuncelle. Ma proprio quando la libreria ha più bisogno di lei, il destino riporterà Ornella in Italia, a bordo di una Seicento malconcia guidata in modo improbabile dalla Patti.

 

Ormai è diventata una delle cifre stilistiche delle mie recensioni di questo 2015: iniziare con una premessa. Anche in questo caso, lasciatemi dire qualcosa, prima di parlare del libro in sé per sé. Su “Dimmi che credi al destino” di Luca Bianchini ho letto online diversi commenti poco entusiasti, soprattutto scritti da lettori/blogger che erano rimasti incantati da “Io che amo solo te” e sono stati invece delusi da questa nuova uscita.

Personalmente, avendo sì io letto l’altro romanzo ma non avendone avuto chissà quale impressione, mi sono accostata a questo libro senza aspettative eccessive, senza preconcetti, in tutta tranquillità – e sinceramente penso fosse più facile convincere una lettrice non innamorata come me, che uno di quelli dell’altro tipo.

Detto questo, Bianchini ancora una volta non mi ha conquistata (quindi sì, premesse chilometriche a parte, arriviamo alla conclusione che mi trovo a concordare in larga parte con gli altri lettori).

Una libreria in crisi nel quartiere londinese di Hampstede, che ha solo pochi mesi di vita prima di chiudere i battenti; una libraia italiana 55enne con un passato burrascoso alle spalle, e molti nodi ancora da risolvere. Intorno, una serie di personaggi particolari, tutti con i propri problemi, con le paturnie, con le difficoltà del caso. Gli elementi per costruire una buona storia c’erano tutti.

Solo che la storia non decolla. La narrazione procede lenta, a tratti quasi noiosa, senza picchi e senza quelle accelerate che spingono il lettore ad attaccarsi a un libro e a non vedere l’ora di sapere come va a finire.

Le vicende di Ornella ci lasciano, purtroppo, quasi indifferenti – perché la sua voce resta sempre un po’ distante, fredda, monocromatica. Non si tratta di una donna comune, senza niente da dire. In lei c’è molto da scoprire. Eppure nella sua figura c’è qualcosa di artificioso e artificiale, qualcosa che non rende questa sopravvissuta che si è rifugiata a Londra per scappare da un passato doloroso “una di famiglia”.

Così come c’è qualcosa di forzato e a tratti grottesco nei personaggi di contorno – l’amica Patti, patita di scarpe e in eterna attesa della dipartita della zia milionaria del marito; Diego, un napoletano che è volato a Londra per dimenticare Carmine, l’uomo che ama ma che invece da lui vuole solo una tresca di sesso.

L’intrecciarsi di punti di vista e vicende differenti alleggerisce un po’ la cappa di noia – se per tutto il libro avesse “parlato” solo Ornella non so proprio se sarei riuscita ad arrivare alla fine – però anche questa varietà non basta per rendere il romanzo vincente.

La città di Londra, con i suoi giardini, le strade, gli scorci che non ti aspetti, emerge dalle pagine più viva di certi personaggi. Mi sono ritrovata in alcuni passaggi – ad esempio quello iniziale, dove si parla del cielo inglese che cambia volto in pochi attimi, che si fa grigio per poi tornare a rasserenarsi – però anche questa magia, su cui Bianchini batte e ribatte in continuazione, finisce per risultare un tantino pesante.

Insomma, non mi aspettavo un capolavoro, da “Dimmi che credi al destino“. Mi sono trovata davanti un libro un po’ scontato, un po’ pesante. La morale è di quelle belle – salvarsi è possibile, indipendentemente da quanto brutto sia stato il nostro passato; non è mai troppo tardi per ricominciare – solo che si perde tra la mole di pagine di troppo, descrizioni banali, passaggi che sembrano essere stati messi lì solo per far felice chi legge.


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