“Diva Sophia”: recensione del romanzo di Herman Koch

Neri Pozza pubblica quella che è sopratutto una - lunga - riflessione sul cinema e la vita

È uscito il 28 aprile per Neri Pozza Diva Sophia, il nuovo romanzo dell’autore olandese Herman Koch, diventato famoso in tutto il mondo con il suo sesto libro, “La cena” (2009), tradotto in 21 lingue e adattato anche per il grande schermo da Oren Moverman nel 2017. 

È il 31 dicembre e il regista Stanley Forbes ha appena deciso che declinerà qualsiasi invito in arrivo per Capodanno. La vuota mondanità del suo ambiente lo ha annoiato, e le sue uscite al vetriolo, con cui è solito scandalizzare l’uditorio e ravvivare un po’ l’atmosfera, lo hanno ormai stancato.

Anziché un invito, però, sul suo cellulare compare un messaggio: «Sto cercando Sophia, sai dov’è? Stanotte non è rientrata». È Karl Hermans a inviarglielo, uno scrittore che si crede suo amico dopo che lui gli ha dedicato un documentario. Passata qualche ruggine, hanno ripreso i rapporti da un anno, da quando Stanley si è ritrovato davanti la figlia di Karl, Sophia, decidendo all’istante che avrebbe fatto un film con quella splendida ragazza appena sbocciata. 

Lui è sulla settantina, a fine carriera. Sophia di anni ne ha diciassette, il liceo ancora da finire. Stanley potrebbe essere suo padre, se non addirittura suo nonno; se richiesto, potrebbe elargire consigli affettuosi, estremamente indulgenti. Tutto questo se lei non fosse così incantevole! Del resto, sul set, nessuno è parso immune al fascino della ragazza e alla sua spontaneità: Sophia ha stregato tutti, anche Michael Bender, l’ex bellissimo primattore. 

Mentre il nuovo film prendeva forma, ripresa dopo ripresa le motivazioni di Stanley si sono fatte via via più oscure: che cosa voleva da quel film e, soprattutto, che cosa vuole ora da quella ragazza e da sé stesso? In quest’ultima sera dell’anno, Stanley sa esattamente dove si trova Sophia, ma decide che la risposta a Karl può pure aspettare…

Devo confessarlo: io ho un problema con Herman Koch! Della serie che per quanto sappia che gode di una grande considerazione a livello internazionale i suoi libri a me non piacciono. “La cena”, a suo tempo, mi aveva lasciato piuttosto fredda. Adesso le lettura di Diva Sophianon ha fatto che confermare la mia avversione. 

Ho trovato questo libro di una noia mortale; lento, ripetitivo, inutilmente cervellotico – tanto che, nonostante io sia allergica a farlo, sono stata tentata di lasciarlo a metà. Una lunga riflessione sul cinema olandese (soprattutto) e sulla vita, che però non arriva da nessuna parte.

Sin dalle prime pagine, da quando incontriamo il regista 70enne Stanley Forbes nel suo appartamento, deciso a non presenziare all’ennesima, inutile, festa a cui è stato invitato ci aspettiamo “la svolta”, che succeda qualcosa al di là delle sue elucubrazioni mentali e dei suoi pensieri e invece… niente! “Diva Sophia” è tutto qui: un lungo monologo interiore, che si arrotola su se stesso e alla fine regala pochissime sorprese (nonostante quanto promesso dalla sinossi).

Delle considerazioni interessanti sulla vita, la maturità e la realizzazione personale ci sarebbero anche, magari, ma sono talmente sommerse da un flusso di parole per larghi tratti ridondanti che si perdono. Così come la storia di Sophia, che veniamo a sapere per interposta persona e attraverso il punto di vista di Stanley. Interessante, sì, ma diluita nel mare dei suoi pensieri tanto da incidere davvero poco sulla pesantezza finale.

Non c’è due senza tre, recita il proverbio. Forse il terzo romanzo di Koch che leggerò sarà quello buono per farmelo apprezzare. Di sicuro, questo non avverrà in tempi brevi, perché al momento mi ci vorrà coraggio, prima di prendere in mano un altro dei suoi libri. 

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