“È stata la mano di Dio”: Napoli, Maradona e il cinema di Sorrentino

Il film più intimo, sincero e toccante realizzato fino a oggi dal regista premio Oscar

Un film di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Filippo Scotti, Teresa Saponangelo, Marlon Joubert, Luisa Ranieri. Drammatico, 130′. Italia 2021

Napoli, anni ’80. Il diciassettenne Fabietto Schisa è un ragazzo goffo che lotta per trovare il suo posto nel mondo, sorretto da una famiglia straordinaria e amante della vita. Fino a quando alcuni eventi cambiano tutto. Uno è l’arrivo a Napoli di una leggenda dello sport simile a un dio: l’idolo del calcio Maradona, che suscita in Fabietto, e nell’intera città, un orgoglio che un tempo sembrava impossibile. L’altro è un drammatico incidente che farà toccare a Fabietto il fondo, indicandogli la strada per il suo futuro.

 

C’era grande attesa e curiosità da parte degli addetti ai lavori e del pubblico per il nuovo film di Paolo Sorrentino, “È stata la mano di Dio”, prodotto da Netflix e presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia.

Fin dalla scelta del titolo era abbastanza chiaro che il regista premio Oscar nel 2014 per “La grande bellezza” ci avrebbe svelato il motivo più intimo e profondo che l’ha portato a legarsi alla figura di Diego Armando Maradona.

Lo fa in quello che è a mio avviso, nonostante le smentite ufficiali, da un lato il film più intimo, sincero e toccante da lui realizzato fino a questo momento, dall’altro una summa estetica e stilistica del suo cinema.

Al centro della storia – e della sceneggiatura – ci sono tre elementi: Napoli, Maradona e il tragico destino familiare del protagonista, il diciassettenne Fabietto Schisa (Scotti).

Nell’estate del 1984 si susseguivano i rumor su un possibile arrivo del campione argentino in serie A. La città partenopea era divisa tra incredulità e speranza, scetticismo e voglia di sognare per quel trasferimento che sembrava impossibile.

Napoli era bloccata, sospesa nella vibrante attesa di quell’uomo del destino, che avrebbe poi cambiato la storia e segnato la vita di intere generazioni. E Paolo Sorrentino decide di inserire in questo contesto memorabile dal punto di vista storico e sportivo la vicenda di Fabietto.

Il diciassettenne fa parte di una famiglia allegra, bizzarra e rumorosa, dove le donne hanno un ruolo dominante e gli uomini sono messi quasi in secondo piano (una novità per Sorrentino). A sconvolgere la normalità, un evento tragico, che chiude l’epoca spensierata e felice di Fabietto per gettarlo in un dolore sordo e paralizzante.

“È stata la mano di Dio” inizia come una commedia agrodolce, segnata dal tocco creativo e dall’identità cinematografica di Sorrentino, per virare poi sull’atipico e spiazzante coming of age del protagonista. Fabietto soffre, conosce nuovi amici, si innamora, scopre una Napoli nascosta ma sempre affascinante.

Filippo Scotti aveva davanti un compito difficile, quasi proibitivo, dovendosi calare nel personaggio evitando di sembrare una copia sbiadita di illustri precedenti oppure una caricatura. La sfida, nel complesso, risulta vinta, anche se il giovane attore non tocca chissà quali picchi recitativi.

La parte del leone, in questo caso, la fanno i personaggi femminili, unici, intensi, alcuni così caricaturali da evocare le maschere del teatro dell’assurdo. Eppure, al momento opportuno, sono proprio queste “maschere” a tirare fuori una forza, un senso pratico e una lungimiranza che strappano lacrime di commozione e partecipazione.

Le figure chiave per lo sviluppo del protagonista sono tre: la mamma Maria (Saponangelo), che si diverte a fare gli scherzi telefonici; zia Patrizia (Ranieri), che incanta tutti per la sua bellezza ma è devastata dall’impossibilità di diventare madre; la Baronessa Focale (Pedrazzi), vicina di casa degli Schisa, snob e cinica.

Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri e Betti Pedrazzi formano un trio strepitoso. Recitano in stato di grazia, meritando le luci della ribalta e rubando la scena al grande Toni Servillo e ai veterani Massimiliano Gallo e Renato Carpentieri.

Mi piace accostare “È stata la mano di Dio” a un altro progetto targato Netflix e presentato alla Mostra del cinema, “Roma” di Alfonso Cuarón. Il gigante dello streaming si conferma capace di valorizzare anche film di spessore e intimi, non solo blockbuster annunciati.

 

Il biglietto da acquistare per “È stata la mano di Dio” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre (con riserva)

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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