Eddie Redmayne, ovvero la capacità di raccontare con il corpo

di Giulia Bacchi

Di lui la prima cosa che noti è che non è come gli altri. È la sua stessa fisicità a parlare di originalità, con quelle proporzioni che litigano tra di loro pur essendo in armonia, come una vecchia coppia sposata – la pelle da modello ma punteggiata ti lentiggini, l’occhio sottile da seduttore di un azzurro femminile, le labbra e il naso studiati nella loro perfetta imperfezione.

Solo un attimo dopo, è la sua recitazione a raccontarlo.

Eddie Redmayne Lili Elbe

Eddie Redmayne è un ragazzo di trentatré anni che si è fatto strada nel cinema come una pantera insegue la propria preda, prima lentamente, con pazienza, per poi spiccare il salto sull’obiettivo con uno slancio che nessuno sembrava aspettarsi. Il salto di Eddie è stato l’Oscar come migliore attore protagonista nell’intenso La teoria del tutto di James Marsh, conquistato solo pochi giorni fa.

Come tutte le persone in qualche modo diverse dalla media, all’inizio era difficile farsi un’opinione su Eddie, ed era invece facile ignorarlo, perché senza etichette il cinema pop (e il mondo) si destabilizza non poco. Guardando La teoria del tutto qualche spettatore particolarmente attento avrà forse ricondotto quei tratti discordanti a strascichi di ricordi cinematografici più o meno recenti: ad esempio, la voce profonda e incerta e lo sguardo pulito di Marius in I miserabili (2012); il sorriso aperto e il passo incerto di Colin in Marilyn (2011); l’acerba fisicità di William in L’altra donna del re (2008); la giovinezza semplice di Anthony in Elizabeth: The Golden Age (2007).

Scelte cinematografiche prudenti, quelle dell’Eddie ventenne, che come tutte le scelte prudenti hanno portato a risultati buoni, sì, ma mai all’eccellenza, all’apoteosi del talento, alla visibilità più sincera e meritata. I film storici, specie quelli in costume, esaltano una recitazione teatrale, che può permettersi un po’ di artificialità, di mistificazione, di manipolazione del tono di voce e del corpo tendente verso l’irrealtà. Per un attore, la cui più grande difficoltà è manipolare senza farsi scoprire – essere artificiale come plastica ma apparire naturale come legno grezzo – un film storico è una buona palestra recitativa, ma soprattutto un comodissimo rifugio contro la vera sfida che è essere un bravo attore, ossia credibile e vero.

Interpretare Stephen Hawking è stata una grande sfida. È stato analizzare e incollare su se stesso ogni dettaglio di una persona vera, le migliaia di sfaccettature di una personalità, che come tale sfuma in miliardi di colori dalle differenze impercettibili, che traspaiono da una luce dello sguardo, un’incrinatura nel sorriso, una velocità diversa nel gesto di una mano. È stato prendere il proprio corpo e la propria psiche indubbiamente forti e possenti di trentenne e imprigionarli, accartocciarli piano piano su se stessi per una malattia invisibile, invadente e invalidante. E fare tutto questo senza fare finta, senza immaginarlo, ma credendoci davvero, fino all’ultima fibra del proprio corpo.

Queste sono le vere sfide di un artista. Come per i ballerini di danza classica, non c’è niente di più complesso e faticoso di far risultare spontaneo un gesto che non lo è affatto, che richiede studio, impegno, sudore. Far dimenticare a chi guarda che c’è uno sforzo dietro a ogni singolo gesto. Eddie ha fatto il salto della pantera quando ha colto l’occasione di fare questa “fatica d’artista” per davvero. Il riconoscimento, ovviamente, è subito arrivato.

Vincere una sfida dà la stessa adrenalina di una droga potente e fa venire voglia di averne ancora. Dà dipendenza. Per questo, forse, Eddie sceglie oggi di tornare a interpretare un ruolo autenticamente complesso e che già accende discussioni ancora prima del ciak di apertura: sarà, infatti, il protagonista di The Danish Girl di Tom Hopper (2016), racconto di vita di Lili Elbe, l’artista danese che fu il primo della storia (negli anni ’30) a sottoporsi a un intervento chirurgico per cambiare sesso. Un personaggio crudo e massimamente controverso quello di Lili, che morì proprio per complicanze dopo l’ennesima operazione.

Una volta ancora si parla di corpi imprigionati, di anime immense che sbattono e soffocano contro i muri della carne. Per questo, all’inizio, vi parlavo delle controversie della fisicità di Eddie. Perché, secondo me, sono loro la chiave di volta per raggiungere quella nicchia recitativa che prima non trovava strada né sfogo. Eddie è fatto – letteralmente – per raccontare la diversità, il contrasto, il conflitto tra interno ed esterno.

Un motivo in più per aspettarlo sul banco di prova dell’interpretazione di un artista transessuale. Una sfida difficile che, se persa, getterà Eddie nell’oblio di un’occasione persa, ma, se vinta, lo lancerà nell’olimpo delle grandi promesse.

Forse Eddie ha preso ispirazione da una verità detta da Stephen Hawking. Una frase che dovrebbe valere per qualsiasi attore, artista, essere umano che non voglia assopirsi nella mediocrità: “Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare. Guardate le stelle, invece dei vostri piedi”. Stiamo certi che lo sforzo di alzare la testa varrà quel meraviglioso spettacolo.


 

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