“EO”: il punto di vista di un asino per raccontare la bruttezza dell’uomo

Un progetto ambizioso e "animalista", che però finisce per perdersi e risultare troppo "alto"

Un film di Jerzy Skolimowski. Con Sandra Drzymalska, Mateusz Kosciukiewicz, Tomasz Organek, Isabelle Huppert. Drammatico, 86′. Polonia, Italia 2022

Eo (“ih-oh”) è il nome di un asino che fa coppia con l’acrobata Kasandra in un circo polacco. Con la ragazza, Eo ha un rapporto speciale, una comunicazione intima, che passa attraverso le carezze, il tono della voce, un accoppiamento delle teste e dello spirito. Ma il circo viene smantellato, piegato dai debiti e dalle proteste, e i due vengono separati. Eo inizia così un viaggio che lo porta in paesi e contesti diversi, fino in Italia, sempre secondo ai cavalli, belli e capricciosi, caricato di pesi, per lo più ignorato, a volte pestato, per cieca furia umana, in un’occasione salvato e in un’altra no.

 

Devo essere onesto: Cannes 2022 era partito bene, quanto a qualità e sensatezza delle pellicole proposte. Certo, non mi illudevo che il mio percorso sarebbe stato esente da intoppi, ma stavo iniziando a nutrite la speranza di riuscire, questa volta, a schivare gli “Spira Mirabilis” (qui la lettera aperta che ha dato il là alla definizione).

E invece eccomi qui, ancora in preda ai sudori freddi ripensando al film polacco “EO” di Jerzy Skolimowski, presentato in concorso. Nei titoli di coda si legge che il film è dedicato a tutti gli animali maltrattati e a chi, di contro, li protegge e li ama. Ma chi proteggerà lo spettatore ignaro da “EO”?

Questa è la classica pellicola “da festival”, che potrebbe far andare in brodo di giuggiole la giuria (non mi sorprendo più di niente, ormai) ma di contro provoca crisi profonde a chi deve, semplicemente, recensirla.

“EO” mostra al pubblico, attraverso il punto di vista di un asino, le vette impensabili di orrore, stupidità ed egoismo che può raggiungere l’uomo. E lo fa attraverso un flusso di immagini, suoni e silenzi completamente slegati tra loro.

Un film dall’estetica sicuramente potente e quasi abbagliante, capace allo stesso tempo di trasmettere sensazioni disturbanti. Il problema è che è la stessa sinossi a risultare fuorviante, nel tentativo, vano, di dare l’idea che ci sia un filo conduttore che lega i personaggi umani e l’asino, molto naturale davanti alla telecamera.

L’EO del titolo era un asino amato in un circo, ma la cattiveria umana lo costringe a fuggire da un posto all’altro, fino a giungere in Italia, rimanendo però sempre legato al ricordo della sua cara padrona, Kasandra, con cui viveva un rapporto quasi simbiotico. 

Alla fine ci si affeziona all’asino, quasi per sfinimento, e si spera in un qualche lieto fine per lui, cosa che renderebbe la posizione dell’essere umano meno imbarazzante, in quest’epoca storica in cui stiamo dando il peggio di noi. Sarà così? Vi lascio sadicamente con un punto di domanda, così che qualcuno, chissà, sia spinto a imbarcarsi nella visione del film e condividere così il mio sconforto esistenziale.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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