“Estate 1993”: un dramma enorme raccontato per piccolissimi episodi

Carla Simon Pipó rivive parte della sua biografia nella storia della piccola Frida, orfana a 6 anni

Un film di Carla Simon Pipó. Con David Verdaguer, Fermi Reixach, Bruna Cusí, Paula Blanco, Laia Artigas. Drammatico, 90′. Spagna 2017

D’estate, in campagna, i giorni sembrano tutti uguali. Ma non l’estate del 1993, non per Frida. Già orfana di padre, all’età di sei anni, quell’estate, Frida perde anche la madre. Dicono per polmonite, ma è AIDS. Lo zio e sua moglie, che hanno già una bambina, la prendono con loro, ma cambiare casa, cambiare genitori, ritrovarsi con una sorella e con una tragedia del genere scritta in fronte non è una cosa semplice. Occorreranno tutti i giorni di quell’estate e tutti gli errori possibili per accettare quel che è stato e abbracciare quello che sarà.

 

Un genitore non dovrebbe mai seppellire un figlio. Su questa massima ci troviamo tutti d’accordo, specialmente quando la vita la disattende. Ma se a perdere entrambi i genitori è una bambina di sei anni? A quell’età si possiedono gli strumenti per elaborare un simile lutto? O si finisce per venirne in ogni caso condizionati?

“Estate 1993” di Carla Simon Pipó è il toccante, crudo e sofferto racconto del trasferimento della piccola protagonista Frida (Artigas), dopo la morte dei genitori, dalla casa dei nonni a Barcellona alla cittadina di Girona in cui dovrà vivere con la famiglia dello zio materno Esteve (Verdaguer).

L’impianto drammaturgico del film è semplice, lineare, essenziale nel suo voler raccontare la storia di Frida (che riprende parte di quella della regista), le sue difficoltà nell’adattarsi a una realtà diversa e i risvolti e turbamenti che tutto questo hanno su di lei.

Non aspettatevi una storia di orchi, di abusi o violenze, qui non ne troverete. “Estate 1993” racconta piuttosto di come l’amore possa riuscire a fare breccia nel muro eretto per proteggersi dal dolore e dalla sindrome dell’abbandono.

Carla Simon evita con intelligenza, talento e creatività la facile e scontata via di un racconto melenso, buonista e retorico costruendo invece un affresco neo realista, credibile e sincero.

Un film che somiglia a una docufiction, con pregi e difetti del genere. Se da una parte le scelte della regista – la costruzione a episodi, il ritmo lento – generano una certa ripetitività dall’altra danno alla storia un taglio spontaneo, sincero. La distanza tra personaggi e pubblico sembra quasi annullarsi, con il secondo pienamente coinvolto nella vicenda.

“Estate 1993” è un piccolo, grande film che ci ricorda come l’infanzia dovrebbe essere il periodo più sereno della vita – per tutti, non solo per pochi privilegiati come ci mostrano le cronache. E quando accede, come nel bellissimo finale, di sentirsi finalmente amati e protetti è concesso anche versare qualche lacrima. Di gioia, per una volta.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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