“Eva”: il remake di Benoît Jacquot non riesce a far dimenticare l’originale

Ispirato a un romanzo del '46 da cui è già stato tratto un altro adattamento, il film si perde nel grigiore

Un film di Benoît Jacquot. Con Isabelle Huppert, Gaspard Ulliel, Julia Roy, Richard Berry, Ellen Mires. Drammatico, 102′. Francia, 2018

Bertrand è stato badante di un anziano scrittore a cui ha sottratto, al momento della morte, il testo inedito di uno spettacolo teatrale attribuendosene la paternità. Ottenuto il successo sul palcoscenico è ora messo sotto pressione dall’impresario che gli ha versato un cospicuo anticipo per una nuova pièce. Conosciuta del tutto per caso una misteriosa donna che si fa chiamare Eva e che si prostituisce chiedendo alti compensi, cerca di trarre dagli incontri con lei materia per una creatività di cui è privo.

 

Presentato in concorso alla Berlinale 2018, “Eva” di Benoît Jacquot può definirsi semplicemente con una parola: deludente. La lista delle cose che non quadrano è lunga, ma mi limiterò qui a soffermarmi solo su alcune, per amor di concisione.

Prima una notazione storica. All’origine di questa pellicola c’è un romanzo della Serie Noire del 1946, scritto da James Hadley Chase, da cui già Joseph Losey nel 1962 aveva tratto un film con lo stesso titolo, con protagonista Jeanne Moreau.

Questo nuovo “Eva” parte bene, con il successo teatrale immeritato di un opportunista ex gigolò (Ulliel), e la promessa di una crescente tensione drammatica. Peccato che quello che segue sia solo grigiore.

La spirale di seduzione e ossessione che il film vorrebbe mostrarci è monotona e vuota, senza la minima sensualità, e con scene che sembrano state tagliate male e poi riattaccate l’una all’altra, in un maldestro collage.

Forse si tratta di una scelta voluta? E il regista Benoît Jacquot anche ha scelto di realizzare un film che parla di una prostituta senza la benché minima carica erotica? Eppure le pellicole francesi, anche le più banali, ci hanno abituato a una certa carica di sensualità.

Neppure i dialoghi, ripetitivi e vacui, riescono a elevarsi dal grigiore, e ancora una volta non resta che sperare (debolmente) che si tratti di una precisa scelta, fatta per sottolineare la vacuità del protagonista Bertrand – e dei suoi patetici sforzi di scrivere una pièce teatrale piatta quanto il film.

Isabelle Huppert non brilla nel ruolo di Eva, prostituta apparentemente ricca e col marito in prigione, piena di punti oscuri, potenzialmente interessante, in realtà monotona come tutto il resto. Ripeto, deludente.

 

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