“Everybody knows”: il regista iraniano Asghar Farhadi racconta il suo film

La storia spagnola di famiglia, segreti e dissimulazione ha aperto la 71° edizione del Festival di Cannes

Ha aperto il 71° Festival del cinema di Cannes “Everybody knows” di Asghar Farhadi (qui la recensione), storia di famiglia, segreti e bugie ambientata in Spagna.

Il regista, insieme agli attori protagonisti Penélope Cruz, Javier Bardem e Ricardo Darin, ha raccontato il suo film in conferenza stampa.

 

“Everybody knows” è il primo film dove non racconta la società del suo Iran, ma quella di un altro Paese, nello specifico la Spagna. È stato più difficile?

Contrariamente a quello che i media vorrebbero farci credere, io sono convinto che le emozioni umane siano le stesse per tutti, in tutto il mondo: è solo il modo di esprimerle che varia da una cultura all’altra.

Quindi questo film è spagnolo al 100% oppure ci sono degli elementi iraniani che ha comunque inserito?

Questo film è completamente spagnolo, e sono felice che gli spagnoli che lo hanno visto ieri sera lo abbiano percepito. Ma è vero che c’è anche un’anima più orientale, uno spirito iraniano che vorrei definire con riferimento all’arte classica iraniana, in cui l’artista scompare perché è la sua opera che deve essere ammirata e non il creatore: ed io ho assunto questa attitudine nel realizzare il film.

Come ha scelto gli interpreti?

Ho incontrato Javier Bardem a Los Angeles cinque anni fa e Penelope Cruz in Spagna qualche mese più tardi. È per loro che ho scritto la storia di questo film, e loro stessi mi hanno aiutato molto nella creazione del film, molto più di quanto sia normalmente richiesto agli attori.

Javier Bardem e Penelope Cruz in una scena di “Everybody knows”.

Il film affronta una moltitudine di temi, tra cui quello della paternità.

Ho inteso questo film come un’occasione di trattare dei temi che mi preoccupano nella mia vita di uomo, di indagare quale sarebbe la mia reazione di fronti a certi dilemmi. Tratto la relazione padre-figlio che è un tema classico della letteratura, e poi anche l’appartenenza e la proprietà, ponendomi domande come: la paternità è di chi ha dato vita a un bambino o a chi l’ha cresciuto?

Il film inizia con l’immagine dell’orologio rotto della chiesa. Quanto è importante per lei l’elemento temporale?

Una delle cose che mi preoccupa sempre di più con l’avanzare dell’età è il tempo, e credo che ci siano due tipi di essere umani: quelli per cui l’età è un tesoro che si accumula, e quelli che invece contano gli anni che restano loro da vivere. Il tempo è un soggetto che mi ossessiona e sarà sicuramente nei miei prossimi film. Spero che questo film sia mostrato senza censura in Iran, farò tutto il possibile perché possa essere così.

In molti hanno parlato di un finale aperto del film. Era così che lo aveva inteso?

Si dice spesso che i finali dei miei film sono aperti, ma a me non piace molto questa definizione, preferisco dire che quando la storia del film finisce un’altra può cominciare, e vorrei che gli spettatori avessero questa sensazione quando escono dalla sala. Il mio film ha quindi due inizi, uno all’inizio e uno alla fine.

 

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Valeria Lotti
Originaria della provincia di Roma, vive tra l'Europa e la Cina, coltivando la sua passione per lo studio di società e culture. Dottoranda a Berlino, ama scrivere di cinema, viaggi e letteratura. Si ritiene democratica e aperta alla critica, purché non sia rivolta ai libri di Harry Potter.

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