“Exodus – Dei e re”: tra fantasy, allegoria, science fiction dell’antichità

Ridley Scott dirige Christian Bale in un nuovo adattamento della storia di Mosè, di grande impatto ma poco coinvolgente

Un film di Ridley Scott. Con Christian Bale, Joel Edgerton, John Turturro, Aaron Paul, Ben Mendelsohn. Azione, 150′. Gran Bretagna, USA, Spagna 2015

Mosè e Ramses, futuro sovrano d’Egitto, sono allevati come fratelli da Seti, faraone illuminato che governa con saggezza la sua gente e difende i suoi confini con l’aiuto dell’esercito e la benevolenza degli dèi. In battaglia Mosè, raccolto dalle acque del Nilo da una principessa e cresciuto come un figlio da Seti, salva la vita a Ramses, principe irrequieto e complessato, che alla morte del padre e su consiglio della madre decide di esiliarlo. Le origini ebraiche di Mosè, rivelate dai saggi, che riconoscono in lui il profeta che libererà il loro popolo da una schiavitù lunga quattrocento anni, gli alienano la lealtà del fratellastro e lo conducono verso un destino più grande. Abbandonato nel deserto, Mosè trova soccorso tra le braccia di una donna araba e di un dio-bambino, che ‘arma’ il suo braccio contro Ramses e lo guida con gli ebrei fuori dall’Egitto e verso la Terra Promessa. Il faraone, ostinato e superbo, dichiara guerra a Mosè e al suo popolo, conducendo gli egiziani alla rovina sul fondo del Mar Rosso.

 

Partiamo dal presupposto che avvicinarsi a una storia come quella di Mosè, quando si tratta di trasposizioni cinematografiche, non è semplice. Scegliendo di adattare per il grande schermo questa vicenda dell’Antico Testamento, infatti, non si può prescindere dalle grandi pellicole del passato che hanno segnato la via per ciò che riguarda questo argomento e posto dei termini di paragone che non è semplice raggiungere – penso soprattutto a “I dieci comandamenti”, dove era Charlton Heston a vestire i panni del protagonista.

Della vicenda di Mosè – ebreo salvato dalle acque e cresciuto come Principe d’Egitto, fuggito da quella vita privilegiata per salvarsi da un’accusa di omicidio, tornato dopo essere stato chiamato da Dio come guida per il suo popolo -, di Ramses II, delle dieci piaghe abbiamo sentito parlare molte volte, e altrettante le abbiamo viste rese per immagini (ci hanno fatto anche un film d’animazione, per intenderci, film anche molto carino).

Trovare una strada per dire qualcosa di nuovo, trovare un modo per rendere la nuova pellicola originale, pur rispettando gli elementi chiave della storia, non è impresa semplice. Il regista Ridley Scott ci prova in “Exodus – Dei e re”, ricorrendo a una serie di elementi innovativi: la chiave di lettura militaresca, la trasposizione del divino in un fanciullo, i massicci effetti speciali.

Nel film Mosè non è solo un Principe d’Egitto, cresciuto come un figlio dalla sorella del Faraone Seti I e dallo stesso sovrano, ma anche un generale, un uomo abituato al comando e alla guerra. È per questo che, dopo aver lasciato il palazzo e la vita di agi, verrà scelto da Dio come guida per gli Ebrei.

Questa prospettiva arricchisce il personaggio principale e la storia di nuovi elementi – ad esempio vediamo Mosè combattere insieme all’esercito egiziano, svolgere un ruolo nell’amministrazione della giustizia, addestrare gli schiavi in vista di una possibile rivolta contro gli oppressori. Un profeta senza bastone – non aspettatevi di vederlo compiere miracoli con quello, perché non succederà -, ma con una spada d’oro sempre stretta in pugno.

Si potrebbe aprire un capitolo a parte, su questa scelta narrativa. Personalmente non è stata tanto la deriva guerriera di Mosè a deludermi, quanto la sua parte umana. Lasciatemi dire che io amo Christian Bale, lo amo da quando ha prestato il volto al Batman di Christopher Nolan, da quando era un pugile emaciato e in cerca di riscatto in “The fighter”.

Mi piace il suo modo ruvido di entrare nei personaggi, la sua capacità di trasmettere emozioni con lo sguardo, con il corpo, con la voce. Qui però la sua interpretazione per me non è stata all’altezza.

Sorvoliamo sul fatto che hanno cambiato il doppiatore e quindi sentirlo parlare è sempre una mezza delusione, ma questo Mosè – nonostante i tentavi di renderlo più umano, con il maggior peso dato alla vita familiare, e più combattivo, con lo spazio dato alla guerra – non riesce ad arrivare al cuore di chi guarda. Non mi ha emozionato – né come fratello, né come marito, né come padre, né tanto meno come guida.

Devo ancora decidere se il fatto di dare a Dio il volto e le sembianze di un bambino mi sia piaciuto o meno. Questa scelta ha del potenziale – ad esempio sentir uscire dalla bocca di un ragazzino, all’apparenza innocente e innocuo, parole di morte e di distruzione fa una forte impressione – però ho pensato costantemente che fosse tutto costruito appositamente per colpire lo spettatore, una cosa troppo voluta e per niente spontanea.

Ho apprezzato molto, invece, come è stato scelto di rendere per immagini la scrittura dei dieci comandamenti. Il fulmine divino che colpisce la roccia e imprime le parole, per quanto d’impatto, mi è sempre sembrato un po’ eccessivo. Mosè che incide il volere di Dio con lo scalpello è molto più bello, perché potrebbe essere vero.

Non è questo che si cerca nella Bibbia, nelle storie dei profeti, in generale nei miti e nei racconti religiosi – senza distinzione, dal Cristianesimo al Buddhismo passando per il politeismo dei Greci e dei Romani antichi -, degli episodi dove la scintilla del divino si manifesta in cornici realistiche? Avvenimenti che sarebbero potuti accadere davvero, che magari sono accaduti davvero, e non semplici narrazioni fantastiche?

Sapevo, prima ancora di sedermi al cinema, che gli effetti speciali non sarebbero mancati. In certi passaggi il loro utilizzo è giustificato e le scelte fatte sono convincenti (le piaghe d’Egitto 2.0 non sono male, diciamolo, così come le scene di costruzione dei monumenti e la corsa dei carri lungo il pendio) ma ce ne sono altri – ad esempio l’apertura del Mar Rosso – che mi hanno lasciata un po’ così. Non basta avere i mezzi, per dar vita a qualcosa di sensato e toccante. Talvolta una buona idea è più importante.

Ed eccoci arrivati al punto: nonostante gli eccessi e l’ostentazione di certe scene, quello che di “Exodus – Dei e re” mi ha colpito di più negativamente è la parte umana. Gli attori non sono all’altezza di chi li ha preceduti in quei ruoli, ma soprattutto il mood della pellicola è sbagliato e fuori contesto.

I cortigiani, i governatori, la stessa moglie del Faraone non hanno assolutamente niente di egiziano. Sembrano solo attori statunitensi troppo truccati, e infilati in costumi d’epoca. Non hanno la faccia, ma nemmeno l’atteggiamento giusto. Dove è andata a finire la compostezza, la regalità, quel senso di distacco che traspariva dai personaggi dei film cult del Novecento? Qui i comportamenti, le battute hanno un che di troppo contemporaneo. Dovremmo essere nel 1300 a.C. non a un party hollywoodiano!

E cosa dire di Ramses? Una delle problematicità dei grandi film su Mosè è che, prima o dopo, si finisce per provare pena, per dispiacersi, per la sorte del Faraone – per quanto siano i suoi rifiuti di lasciar partire gli Ebrei, la causa di tutti i suoi mali e di fatto lui sia il cattivo. Ma in ogni caso il dolore di un padre davanti alla morte di un figlio è sempre troppo toccante per fare distinzioni di parte. Non questa volta. Questo re è artefatto, repellente per molti versi, ma soprattutto mai coinvolgente. Anche quando tiene il primogenito inerte tra le braccia… non arriva a chi guarda nessuna vera emozione.

In sintesi, è vero che per tenere incollato il pubblico allo schermo riproponendo una storia già conosciuta – che quindi non può riservare grandi sorprese per ciò che riguarda la trama – servono scelte estreme o spunti innovativi, ma forse puntare anche sulla recitazione e su una sceneggiatura capace di trasmettere qualcosa, invece che soltanto su moltiplicazioni di elementi fatti al pc e grandi ambienti modellati artificialmente, potrebbe ancora rivelarsi la scelta migliore.

 

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