“Fury”: un film realistico e crudo, che porta in prima linea

David Ayer dirige un intenso Bred Pitt nel racconto degli ultimi mesi del Secondo conflitto mondiale in Europa

Un film di David Ayer. Con Brad Pitt, Shia LaBeouf, Logan Lerman, Michael Peña, Jon Bernthal. Azione, 134′. USA, 2014

Germania, aprile 1945. La guerra sembra non finire mai per il sergente Don Collier, sopravvissuto al deserto africano e alle spiagge della Normandia. Leader carismatico di un manipolo di soldati di diversa estrazione e diverso carattere, Don è inviato in missione dietro le linee nemiche e dentro un tank Sherman. Perduto in uno scontro a fuoco il loro tiratore, reclutano Norman Ellison, un giovane soldato a disagio con la guerra e la violenza. Ribattezzato dalla sua squadra Wardaddy, Don si prende cura come un padre del ragazzo, che inizia ai rudimenti della guerra con metodi poco ortodossi. Avanzare contro il nemico, abbatterlo e sopravvivergli favorisce la confidenza e il cameratismo tra gli uomini di Don, che impavidi hanno deciso di seguirlo in un’ultima impresa contro trecento soldati tedeschi. Un’ultima linea armata prima della libertà e della pace.

 

Quanto è brutalmente lontana la guerra moderna dagli scontri tra eroi raccontati nei grandi poemi classici! Gli eroi di Omero e Virgilio erano belli anche davanti alla morte, resi immortali dalle loro gesta, che la precoce dipartita non poteva in alcun modo oscurare.

Persino nei momenti più drammatici – nello scontro tra Achille ed Ettore sotto le mura di Troia, ad esempio – c’è qualcosa di poetico e bellissimo nel clangore delle armi, nel sangue vermiglio che imbratta la terra, negli occhi fissi dopo che la vita è fuggita via.

Le guerre dell’era moderna hanno perso tutta la poesia. Ci sono solo morti scomposti, uomini mutilati, macerie e distruzione. Il corpo a corpo, il duello, è passato di moda. Oggi la guerra è totale, si combatte per le strade delle città, miete vittime indistintamente tra militari e civili.

Spesso tendiamo a dimenticare come funzionano i conflitti, cosa significano per chi li combatte e per chi li subisce: per questo film come “Fury” di David Ayer, anche se raccontano eventi passati, meritano di essere visti.

“Aspetta di vedere cosa un uomo può fare a un altro uomo”, dice uno dei veterani di guerra al giovane Norman che, da dattilografo, si ritrova a combattere in prima linea insieme all’equipaggio del carro armato Fury, e a ben vedere il cuore vero di questa storia, e della storia di tutte le guerre, è tutto qui. L’uomo è il solo animale che uccide altri della sua specie per motivi che esulano dalla pura sopravvivenza.

Vedere questo film è fisicamente doloroso, perché allo spettatore non viene risparmiato niente. Al cinema si sceglie spesso un modo mediato, meno cruento, per raccontare la morte; basta cambiare inquadratura al momento giusto, staccare, e il messaggio di quello che è successo passa lo stesso anche senza assistere all’atto.

Ayer porta invece il pubblico in prima linea, scegliendo la strada della presa diretta, del realismo più crudo. In “Fury” non c’è spazio per gli accenni, per l’immaginazione; in “Fury” si vede davvero tutto.

La cosa strana è che, alla fine, quello che tocca davvero le corde più profonde della nostra sensibilità non sono tanto le teste che saltano letteralmente per aria, ma alcuni passaggi “di raccordo” come ad esempio il corpo che si disfa nel fango della strada sulla quale passa il convoglio dei carri.

Sono quelle immagini che danno i brividi, perché se negli scontri possiamo fingere magari per un attimo che si tratti comunque di finzione, lì è impossibile. Lì vediamo passarci davanti la guerra, l’Europa devastata, quel passato che bene o male è il nostro passato. E che continua a scioccarci e farci sanguinare, se solo ci prendiamo un minuto per ricordare che non sono passati 1.000 anni.

La performance di Brad Pitt nel ruolo del sergente Don Collier l’ho trovata di spessore. Per una volta si finisce per dimenticare il lato estetico dell’attore americano, per farsi invece trasportare soltanto dall’ampia gamma di emozioni che riesce a trasmettere con le parole, i gesti e gli sguardi.

I comprimari – Shia LaBeouf, Logan Lerman, Michael Peña, Jon Bernthal – sono all’altezza del compito, tutti capaci di dare carattere e umanità ai rispettivi personaggi. Un manipolo di sopravvissuti, ognuno con una back story e un passato, oltre che con punti di forza e debolezze. Il rischio di dare vita a fantocci o uomini stereotipati, in un film di guerra come questo, c’era. Invece ognuno dei membri dell’equipaggio del Fury spicca nel suo essere reale e realistico.

Il finale, per quanto eroico e a suo modo positivo, non riesce in nessun modo ad alleviare in chi guarda la sensazione di perdita. La guerra di lì a pochi mesi finirà, i soldati torneranno a casa. Ma con quali occhi riusciranno a guardare il mondo intorno a loro, dopo quello che hanno visto in guerra? Una domanda senza risposta che si applica a tutti i conflitti, di tutte le epoche.

 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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