“Gli indifferenti” di Alberto Moravia: la banalità di una vita che non cambia

Il romanzo d'esordio dello scrittore romano, pubblicato nel 1929, quando aveva 22 anni

Le vicende di due fratelli, Carla e Michele Ardengo, incapaci di provare veri sentimenti si intrecciano con quelle della madre Mariagrazia, dell’amante di lei Leo Merumeci, dell’amica di famiglia Lisa. Nello spazio ristretto degli ambienti di casa e con poche variazioni, come su un palcoscenico, negli “Indifferenti” Moravia tratteggia una storia che parla di sconfitta, di banalità, di una vita sempre uguale a sé stessa e che non c’è modo di cambiare.

Di persone “strane” se ne incontrano a milioni tra le pagine dei libri, ma strani come questi… Scherzi a parte, nessuno dei personaggi di Moravia si può definire positivo. Sono tutti gretti, chiusi in se stessi, in qualche modo incapaci.

Michele non prova alcun sentimento, è del tutto incapace di emozionarsi. Niente lo scuote: né gli intrighi di Leo – che sta cercando di impossessarsi del patrimonio di famiglia mentendo sul reale valore della villa che Mariagrazia si trova costretta a vendere -, né il comportamento della madre. Lisa non accende in lui nessuna passione, la scoperta che la sorella si è compromessa non lo spinge all’ira. Nella sua mente ha mille pensieri, vorrebbe saper essere risoluto, ma alla fine tutto si sgonfia come una bolla di sapone.

Leo Merumeci è il villain di questa storia, il cattivo da sconfiggere, almeno in teoria. Alla fine, invece, visti tutti gli altri, finisce per essere solo uno dei cinque. Leo è un libertino, un approfittatore. Cerca di trarre il massimo – la casa – dall’amore che Mariagrazia prova per lui, ma da parte sua è freddo e controllato. Leo è ironico, tiene tutto sotto controllo, tira le fila di tutta la situazione. Quando si incapriccia di Carla, la seduce in poco tempo. Senza un rimorso per il male che, teoricamente, la cosa potrebbe fare alla madre. Senza un ripensamento per il fatto di rovinare una giovane.

Leo agisce. Ed è questo, forse, a non farlo passare poi tanto male. In mezzo a persone che pensano tanto (si guardi Michele) ma alla fine sono incapaci di fare qualcosa lui è l’esatto contrario. Non ha morale, non ha buoni sentimenti, non prova pietà. Semplicemente, fa quello che vuole.

Carla non è migliore del fratello. Il suo desiderio di cambiamento, alla fine, in cosa si traduce? Nel diventare, prima, l’amante dell’amante della madre e poi, addirittura, nel prendere in considerazione l’idea di sposarlo. Per una donna contemporanea è inconcepibile! Ma va tenuto presente che la nostra mentalità è diametralmente opposta alla sua. In Leo, almeno per cinque secondi, lei vede una possibilità. Non tanto di amore e felicità, quanto di movimento. Darsi a lui significa fare, finalmente, qualcosa. Cambiare. Uscire da quella casa e da quella vita che lei, a 24 anni compiuti, non riesce più a sopportare.

In Carla c’è un connubio strano di elementi infantili e maturi. A tratti sembra una bambina, a tratti una donna ormai fatta. Il libro finisce con lei e la madre che vanno al ballo – chissà se alla fine avrà sposato davvero Leo o meno.

Mariagrazia, la madre, penso sia stata il personaggio che ho odiato di più. Ogni volta che una sua frase o pensiero mostravano quanto si fosse sbagliata avrei solo voluto prenderla a sberle! È una donna sola, che sta sfiorendo, e si attacca a Leo come all’unico punto fermo. Solo che lui la prende in giro, su tutto. Sta tramando per lasciarla povera, non la ama, le insidia addirittura la figlia. E lei? Non trova niente di meglio che prendersela con l’amica Lisa. Mariagrazia è rinchiusa nel suo mondo. Vede solo quello che vuole vedere, non sente ragioni. Neppure davanti all’evidenza aprirebbe gli occhi.

Per finire, Lisa. Il suo desiderio puerile di essere amata non la rende simpatica. Sembra più che altro un’oca, una persona che pensa poco e male. Un tempo amante di Leo – e uno si domanda: ma in questo misterioso luogo dove si svolge la storia c’è solo lui? Nessun altro uomo abile e appetibile a cui volgersi? -, tutto d’un tratto volge le sue attenzioni a Michele… per un errore. Lisa crede che lui la ami e si fa trasportare dal sogno di un amore felice. Ma appena il ragazzo mostra scarso interesse, lei non ci mette molto a pensare: “Sarei dovuta tornare con Leo. Almeno avrei avuto qualcosa”. Amore grande, davvero.

Nella sinossi si parlava dell’ambientazione storica significativa, ma secondo me, tolto qualche rarissimo riferimento, il romanzo potrebbe essere ambientata in qualsiasi anno tra il 1850 e il 1950, senza per questo provocare danni alla trama. Il libro è stato scritto nel 1929, ma il dato cronologico non pesa molto. Così come quello spaziale. I personaggi si muovono come in una nebbia, e la città che attraversano, i tram, sembra tutto irreale e senza tempo.

L’atmosfera è da classico, senza dubbio. È una di quelle storie che oggi non so se qualcuno avrebbe il coraggio di scrivere. Impossibile trovarle un aggettivo: Bella? Brutta? Avvincente? Noiosa? Che senso hanno queste parole applicate agli “Indifferenti”? Una storia indefinibile.

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