“I provinciali”: recensione del romanzo di Jonathan Dee edito da Fazi

Un ritratto pungente, veritiero e coinvolgente dell'America di inizio anni 2000 e di quella di oggi

Non conoscevo Jonathan Dee – già finalista al premio Pulitzer – prima di leggere I provinciali, edito da Fazi, un romanzo corale e bellissimo, dove ho ritrovato quel “passo”, quel ritmo proprio delle storie americane e che associo ad autori come Jonathan Franzen.

Nella cittadina di Howland, in Massachusetts, in seguito ai fatti dell’11 settembre, si stabilisce il broker newyorkese e milionario Philip Hadi insieme a moglie e figli. Il suo arrivo avrà un grande – e controverso – impatto sulla comunità. Su Mark Firth, imprenditore edile con grandi ambizioni ma scarsa competenza negli affari, sposato con Karen. Sul fratello di Mark, nonché suo eterno rivale, Jerry, un agente immobiliare. Sulla sorella Candace, insegnante alla scuola pubblica locale.

Gli abitanti della cittadina sono tutti accomunati dalla diffidenza nei confronti dei turisti della domenica, abitanti della grande metropoli che possono permettersi una seconda casa in provincia: gente disposta a spendere cinque dollari per un pomodoro, perché ignora il valore di un pomodoro quanto quello di cinque dollari. Sarà proprio uno di loro a far precipitare il fragile equilibrio della comunità.

In teoria Philip Hadi è il centro di questa storia, quello che con il suo arrivo in provincia e con le sue azioni da il là a tutto. Nei fatti, Dee preferisce concentrarsi su tutti gli altri personaggi, sugli abitanti “normali” di Howland, lasciando il milionario quasi sullo sfondo.

Così, pagina dopo pagina, ci ritroviamo davanti una galleria ininterrotta di casalinghe annoiate, professionisti terrorizzati dallo spettro del fallimento, adolescenti in cerca di una  loro dimensione – che ancora non sanno bene quale può essere.

Il bello di “I provinciali“, per me, è il suo saper raccontare in modo schietto e realistico tutto e niente in questo flusso quasi ininterrotto di parole – il libro è diviso in pochissimi capitoli, solo cinque, molto corposi. Dopo un po’ ci si sente parte della narrazione, trasportati in questa piccola porzione di America che però riflette l’intero, i suoi problemi dei mesi post-11 settembre ma anche di oggi, così bene.

E alla fine si prova a chiudere il libro, a lasciare Howland, quella malinconia che io associo solo ai romanzi particolarmente riusciti. Ci piacerebbe sapere ancora qualcosa di Mark, Jerry, Candace e di tutti gli altri. Come sono arrivati alla situazione che troviamo nelle ultime pagine, cosa hanno fatto dopo. Ma ovviamente, e qui sta il bello della narrativa, questo non è possibile. Possiamo solo immaginare.

 

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