Il labirinto degli spiriti, Carlos Ruiz Zafón

Barcellona, fine anni ’50. Daniel Sempere non è più il ragazzino che abbiamo conosciuto tra i cunicoli del Cimitero dei Libri Dimenticati, alla scoperta del volume che gli avrebbe cambiato la vita. Il mistero della morte di sua madre Isabella ha aperto una voragine nella sua anima, un abisso dal quale la moglie Bea e il fedele amico Fermín stanno cercando di salvarlo. Proprio quando Daniel crede di essere arrivato a un passo dalla soluzione dell’enigma, un complotto ancora più oscuro e misterioso di quello che avrebbe potuto immaginare si estende fino a lui dalle viscere del Regime. E in quel momento che fa la sua comparsa Alicia Gris, un’anima emersa dalle ombre della guerra, per condurre Daniel al cuore delle tenebre e aiutarlo a svelare la storia segreta della sua famiglia, anche se il prezzo da pagare sarà altissimo.

Se come me avete amato la quadrilogia di Zafón fin dagli inizi leggere questo quarto, e ultimo, romanzo sarà una necessità più che una scelta – come mangiare l’ultimo cioccolatino della scatola dopo aver fatto fuori tutti gli altri, o guardare il finale di stagione della vostra serie tv preferita un secondo dopo che è uscito, anche se sapete che passeranno 12 mesi prima che arrivi il seguito.

Comunque. Con “Il labirinto degli spiriti” l’autore spagnolo chiude il cerchio aperto da “L’ombra del vento” (2001), dando risposte ad alcuni degli interrogativi che ancora ci portavamo dietro – il destino della madre di Daniel, l’idealizzata e angelicata Isabella, ad esempio, che qui ritroviamo più umana e fallibile di quanto avremmo immaginato.

Personalmente, per quanto ami lo stile, i personaggi e la trama libresca della saga, ho trovato questo romanzo un po’ troppo lungo, a tratti ripetitivo. Tutta la parte del “Libro di Julian”, ad esempio, poteva essere tagliata senza ripensamenti – perché cosa aggiunge, con le sue decine e decine di pagine, al disegno complessivo dell’opera? Ben poco, per come la vedo io.

Se “Il labirinto degli spiriti” non è un totale fallimento, se anche il lettore più affezionato non lo mette da parte senza essere arrivato alla tanto agognata fine – oppure non salta a pie’ pari buona parte del testo, per leggere solo il sopracitato finale – si deve soprattutto al personaggio e alla sotto-trama di Alicia Gris.

Unica vera novità del romanzo, per quanto possa sembrare a tratti un po’ troppo costruita e poco realistica – con i suoi tratti da “vampira”, per dirla alla Fermín Romero de Torres, uniti a quelli di femme fatale e a quelli di agente speciale o consulente investigativa che dir si voglia – almeno vivacizza il tutto, offrendoci un punto di vista nuovo, qualcosa su cui riflettere.

Uno scorcio del Barrio Gotico di Barcellona.

Ripetizioni a parte, quello che più mi ha delusa è la mancanza di un vero colpo di scena, e di una soluzione al mistero della sparizione del ministro Mauricio Valls attorno a cui ruota buona parte del libro. Pagina dopo pagina, ci aspettiamo di scoprire che l’uomo è stato rapito per chissà quale motivo e da chissà quali bruti… e invece la spiegazione è la più semplice, quasi banale, per niente avventurosa.

Alla fine si ha la sensazione che il tutto sarebbe potuto essere raccontato nella metà delle pagine.

Vale la pena leggere il libro? Nonostante le critiche che ho espresso fin qui, secondo me sì. Per tre motivi.

Primo, perché la Barcellona che fa da sfondo alle avventure di Alicia, di Daniel e degli altri personaggi è quella magica che ricordavamo, ammantata di mistero, di straordinario e di malinconia, una protagonista che, nonostante il passare degli anni e il progredire della saga, non ha perso un centesimo dello smalto iniziale.

Secondo, perché il Cimitero dei libri dimenticati vale sempre una visita più approfondita.

E terzo, forse il motivo più banale, perché bene o male vale sempre la pena sapere come va a finire una storia che ci ha tenuto compagnia per anni, che magari abbiamo persino amato. E quella di Zafón, per quanto lo sviluppo possa essere stato più o meno deludente, di certo rientra tra queste.





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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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