“Il libro delle due vie”: recensione del romanzo di Jodi Picoult

Una storia toccante ed evocativa, sull'amore, la morte e le scelte che cambiano tutto

È uscito per Fazi editore il 14 ottobre Il libro delle due vie” di Jodi Picoult, nota al grande pubblico soprattutto per aver scritto “La custode di mia sorella” (2004), da cui è stato tratto l’omonimo film con Cameron Diaz. Un romanzo particolare, per certi versi atipico, che affronta in modo approfondito il tema della morte e del trapasso, e che quindi potrebbe non essere adatto a tutti… 

Tutto cambia nel giro di pochi secondi per Dawn Edelstein. La donna si trova su un aereo quando l’assistente di volo fa un annuncio: «Prepararsi per un atterraggio di fortuna». I pensieri cominciano ad attraversarle la mente. Ma non riguardano suo marito, bensì un uomo che non vede da quindici anni: Wyatt Armstrong.

Dawn sopravvive miracolosamente allo schianto. Nella sua vita non manca nulla: ad aspettarla a Boston ci sono il marito Brian, la loro amata figlia e il suo lavoro di doula di fine vita, che consiste nell’aiutare i suoi clienti ad alleviare la transizione tra la vita e la morte. Ma da qualche parte in Egitto c’è Wyatt Armstrong, che lavora come archeologo portando alla luce antichi luoghi di sepoltura: una carriera che Dawn è stata costretta ad abbandonare. E ora che il destino le offre una seconda possibilità, non è così sicura della scelta che ha fatto.

Dopo l’atterraggio di emergenza, potrebbe prendere un’altra strada: tornare al sito archeologico che ha lasciato anni fa, ritrovare Wyatt e la loro storia irrisolta, e forse anche completare la sua ricerca sul Libro delle Due Vie, la prima mappa dell’aldilà. I due possibili scenari per Dawn si svelano l’uno al fianco dell’altro, così come i segreti e i dubbi a lungo sepolti insieme a loro. È il momento di affrontare le domande che non si è mai veramente posta: cos’è una vita vissuta bene? Quando abbandoniamo questa terra, cosa ci lasciamo dietro? Facciamo delle scelte… o sono le nostre scelte a fare noi? E chi saresti, se non fossi diventata la persona che sei adesso?

Il libro delle due vie non è un romanzo leggero da leggere, voglio dirlo subito. È ben scritto, a suo modo avvincente (pagina dopo pagina la curiosità di capire cosa abbia scelto di fare Dawn, quale delle “due vie” terrene abbia deciso alla fine di percorrere, si fa sempre più forte), però è anche molto pesante. Perché la protagonista Dawn, a Boston, ha a che fare ogni giorno con malati terminali, drammi familiari e persone in procinto di andarsene.

Non so quale sia il vostro rapporto con il tema della morte – non voglio pescare nel torbido – ma personalmente, per quanto non viva questo ineluttabile cammino verso la fine con una particolare ansia, non ho nemmeno sviluppato a riguardo un’accettazione e una calma zen. Moriremo tutti, è un dato di fatto. Ma nella nostra quotidianità cerchiamo di non pensarci, perché altrimenti andare avanti sarebbe complicato. 

Ecco, “Il libro delle due vie” indugia molto su questo tema, ti fa pensare che non siamo eterni, ma soprattutto ti racconta cosa vuol dire assistere un malato terminale, stare vicino a una persona cara negli ultimi momenti, pianificare il proprio funerale… Non sono argomenti semplici, di cui leggere. Personalmente ho trovato le parti bostoniane molto difficili da mandare giù, toccanti e forti, e ho preferito quelle ambientate in Egitto, dove la morte è presente, certo, ma trattandosi di mummie e faraoni… diciamo che la sentiamo un po’ più distante.

La rappresentazione del Libro delle due vie, una sorta di mappa mistica per l’aldilà, su un sarcofago egizio.

Al di là di questa riflessione tematica, Jodi Picoult è stata molto brava nella costruzione del libro, secondo me. Il lettore è portato a pensare che le due vite di Dawn siano una alternativa all’altra, che si tratti di una sorta di racconto “sliding doors”cosa sarebbe successo se…? – ma che solo una delle due sia reale. Il finale riserva non poche sorprese da questo punto di vista – non dico altro, per evitare inutili spoiler. 

Quella di Dawn è una storia toccante, che potrebbe farvi versare più di una lacrima. Una storia che parla di amore e di morte, ma soprattutto di scelte, quelle che facciamo – e che non facciamo – e che cambiano per sempre il corso della nostra vita.

Sicuramente, dopo aver letto questo romanzo, sarà più semplice godersi al massimo ogni minuto (che potrebbe oggettivamente essere l’ultimo) e avere meno paura di perseguire la propria felicità (che, in ultima analisi, non è l’unica cosa che conta davvero?).

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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