“Il lungo sguardo” di Elizabeth J. Howard

L'affresco del "bel mondo" inglese della prima metà del Novecento. Un caleidoscopio di immagini

Uno dei punti di forza di “Il lungo sguardo” di Elizabeth J. Howard, edito da Fazi, è il modo in cui è costruito. Quando iniziamo la lettura facciamo la conoscenza di Mr e Mrs Fleming “oggi” (anno 1950), e capiamo attraverso le parole della signora che la situazione tra i due è critica. C’è aria di separazione, o quanto meno di allontanamento.

Nel frattempo, mentre il loro matrimonio va a rotoli oppure è già oltre il punto di non ritorno, il figlio maggiore Julian sta per convolare a nozze con una ragazza – e né lui né lei sembrano particolarmente convinti del passo che stanno per fare. La figlia minore, invece, dopo una serie di relazioni infelici aspetta un bambino e ha deciso di rimediare unendosi in matrimonio con un ragazzo che l’adora, anche se non è il padre della creatura che porta in grembo…

Una situazione familiare tutt’altro che idilliaca, vero? A dispetto del benessere che trasuda dalla casa di famiglia, dalle cene con gli amici, dai beni materiali, si capisce subito che questi personaggi emotivamente hanno più di un problema… Ma come si è arrivati a questo punto?

È qui che entra in gioco la bravura della Howard come narratrice – e la costruzione della storia ad arte, di cui parlavo prima. Per rispondere a questa domanda – perché Mr e Mrs Fleming sono ai ferri corti? Cosa è successo “prima”? – la scrittrice decide di muoversi in un modo molto particolare: andando sempre più a ritroso nel passato, ma iniziando dal tempo presente.

Ecco allora che ritroviamo la famiglia Fleming durante la seconda guerra mondiale (1942) alle prese con razionamenti e vita di campagna e poi nel 1937, durante una vacanza tutt’altro che felice in Francia. Nel 1927 ci vengono invece mostrati i dettagli della vita matrimoniale di Antonia e Conrad, novelli sposa, ma anche lì – invece della felicità che ci aspetteremmo – vediamo delle crepe tra i due.

Per capire come siamo arrivati a questo matrimonio poco riuscito – costellato di tradimenti, incomprensioni, ripicche – dobbiamo infatti andare ancora più indietro nel tempo: al 1926, quando Antonia (Toni) è una 19enne che vive ancora con i genitori. È in questo tempo e in questo spazio che si chiariscono molti misteri, che si capisce perché questa donna ha deciso di sposare quest’uomo, perché è sempre stata scettica nei confronti dell’amore, perché durante i primi tempi del matrimonio già pensava: “Non lo amo”.

Elizabeth Jane Howard

“Il lungo sguardo” è più dell’affresco di un mondo – quello della buona società britannica -, è un caleidoscopio che ci rimanda molte immagini e molti riflessi. Mano a mano che avanziamo nella lettura – e retrocediamo nel tempo – cadono davanti a noi una serie di veli. Le illusioni che lasciamo per strada sono diverse – quelle sull’amore coniugale e su quello filiale, quelle che circondano l’idea stessa di famiglia.

Cosa rimane alla fine? Una ragazza che per scappare da una vita che l’ha delusa si getta a capo fitto in un rapporto che già sa non la renderà felice. Un uomo che si sposa per noia – presumibilmente – e dopo vive doppie e triple vite per passare il tempo. Dei figli che da questa mancanza d’amore, evidente a mio avviso, non hanno imparato molto, sul piano dei sentimenti.

Antonia sceglie Conrad per superare una delusione, per dimostrare di valere qualcosa, per allontanarsi dai genitori? Sia come sia, le sue motivazioni ci sembrano chiare. Ma perché si sposa Mr Fleming? Per cercare di plasmare una moglie a sua immagine, o secondo quella che lui pensa essere l’immagine della consorte ideale? Per capire se è possibile vivere con una sola persona per sempre? Perché bisogna sposarsi, per essere membro di una certa società, punto e basta?

Antonia Fleming non un personaggio per cui è facile provare simpatia, ma certo il marito è peggio. In lei si avverte sempre una tristezza di fondo, e soprattutto un profondo disincanto. Le cose sarebbero potute andare in modo molto, molto diverso… ma invece hanno preso questa piega specifica, e da tutto quello che è stato lei ha imparato a non aspettarsi più molto dall’esistenza, a non sorprendersi più, a indossare sempre una maschera d’indifferenza e compostezza.

Com’è andata a finire tra Mr e Mrs Fleming, tra Julian e la fidanzata June (anche loro così poco innamorati, così poco convinti alla vigilia del grande passo), tra Deirdre e il non padre del suo bambino? Non lo sappiamo. Il bello/brutto di questo libro è proprio questo: dopo averci portati indietro fino al 1926, la Howard non ci porta “indietro” al presente, dove tutto è cominciato – almeno per noi lettori.

L’ultima immagine che abbiamo, prima di chiudere il libro, è quella di Conrad che prende la mano della giovane Toni «come fosse un oggetto di scena senza il quale sarebbe stato impossibile, per l’uno e per l’altra, scendere l’ultimo gradino della scala». Questo gesto da il via a tutta la serie di eventi che porterà – lei e lui – a diventare la donna e l’uomo che sono. Ma come sia poi andata avanti, dopo il 1950, possiamo solo immaginarlo.

 

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