“Il re ai confini del mondo”: recensione del romanzo di Arthur Phillips

Un'attenta ricostruzione storica, una storia di spionaggio, un'analisi dell'animo umano

Esce oggi, 28 aprile, per Fazi editore Il re ai confini del mondo” di Arthur Phillips, un romanzo storico finissimo ambientato sul finire del regno di Elisabetta I d’Inghilterra, che è stato accostato per complessità e ricchezza alle opere di Hilary Mantel.

Inghilterra, 1601. La regina Elisabetta I è in fin di vita. Non ha avuto figli: il suo è un regno privo di erede, e i potenziali successori cominciano a tramare. Il trono spetterebbe a Giacomo VI di Scozia, ma a corte si vocifera che il re nasconda qualcosa. Ha tutte le ragioni per affermare di essere protestante, ma se segretamente condivide il cattolicesimo della sua famiglia, allora quarant’anni di guerra di religione saranno stati inutili. È un rischio che il paese non può permettersi. Qual è, quindi, la vera fede del re di Scozia?

A Geoffrey Belloc, tra i più abili collaboratori della corona, viene affidato il compito di scoprirlo. Belloc arruola Mahmoud Ezzedine, un medico musulmano rimasto in Inghilterra dopo l’ultima visita diplomatica dell’impero ottomano, come suo agente sotto copertura. È l’uomo perfetto per il lavoro: è un outsider, bloccato da anni su quell’isola fredda, umida e primitiva. E pur di riabbracciare la moglie e il figlio è disposto a tutto.

Il rei ai confini del mondo” colpisce per il suo stile e la scrittura di Arthur Phillips, davvero incantevoli. Questo è un romanzo storico che porta chi legge letteralmente indietro nel tempo, al periodo che racconta. Lo fa grazie a una prosa e a un ritmo dal sapore antico, erudito, molto distanti dalla contemporaneità (preparatevi, in questo senso, perché il primo impatto potrebbe spiazzarvi). 

La storia del medico ottomano Ezzedine, che si converte al cristianesimo e diventa Matthew Thatcher, e poi “passa di mano” come dono più volte, fino a ritrovarsi alla corte di Scozia a dirimere una questione di vitale importanza per il regno inglese, è prima di tutto commovente. Nonostante la distanza che ci separa dal personaggio, è impossibile non percepire le sue emozioni – la nostalgia per la patria e la famiglia, il dolore quasi fisico, i dilemmi morali – e non interiorizzarle.

Ma “Il re ai confini del mondo” è anche un bellissimo romanzo di spionaggio, che ci porta dietro le quinte – è davvero il caso di dirlo! – di questo mondo complicatissimo, ieri come oggi, e ce ne mostra luci e ombre. I personaggi simulano, mentono, giocano su più piani e portano avanti diverse partite. E come dimostra l’Epilogo, anche quando pensiamo di aver colto tutti i sottotesti e svelato tutti i misteri, capito chi serviva chi e chi voleva cosa, può esserci ancora qualcuno che ce l’ha fatta sotto il naso… 

Della Guerra delle due rose e dell’epoca Tudor, inclusa la faida religiosa e familiare che ha visto contrapposte Elisabetta I e la cugina, Maria Stuart, hanno parlato diversi romanzieri – e anche film e serie televisive recenti. Della fine del regno della “regina vergine” e della figura di Giacomo VI, invece, sappiamo molto meno.

Il libro di Thatcher ha quindi anche il merito di gettare luce su questo periodo di transizione, disegnando intriganti scenari possibili, e facendoci interrogare al contempo su tematiche come la natura del potere e della morale, la religione e la fede (“Parigi val bene una messa” o no?), l’essenza stessa dell’essere umano (cosa ci muove in ultima analisi? Cosa si cela nel nostro cuore?).

Ricostruzione storica attenta, spionaggio, una partita a scacchi che segna il destino di una nazione intera: al “Re ai confini del mondo” non manca davvero niente! Una lettura coinvolgente e sorprendente, consigliata a chi ama il genere ma anche a chi cerca il titolo giusto per avvicinarcisi. 

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