“Il regno di rame”: recensione del romanzo di S.A. Chakraborty

Il secondo capitolo della trilogia Daevabad, edito da Mondadori, è un'avventura epica

È uscito in libreria il 2 marzo, edito da Mondadori, Il regno di rame” di S.A. Chakraborty, secondo capitolo della trilogia Daevabad, aperta lo scorso anno da “La città di ottone”. Un fantasy avvolgente, che evoca atmosfere e suggestioni da Mille e una notte e attinge a piene mani alla mitologia araba.

La vita di Nahri è cambiata per sempre nel momento in cui ha accidentalmente evocato Dara, un misterioso jinn. Fuggita dalla sua casa al Cairo, si è ritrovata nell’abbagliante corte reale di Daevabad, immersa nelle cupe conseguenze di una battaglia devastante. Anche se accetta il suo ruolo ereditario, sa di essere intrappolata in una gabbia dorata, controllata da un sovrano che governa dal trono che una volta apparteneva alla sua famiglia: basterà un passo falso per far condannare la sua tribù.

Nel frattempo, il principe Ali è stato esiliato per aver osato sfidare suo padre. Braccato dagli assassini, è costretto a fare affidamento sui poteri spaventosi che gli hanno donato i marid. Così facendo, però, minaccia di portare alla luce un terribile segreto che la sua famiglia ha tenuto nascosto a lungo.

Intanto, nel desolato nord, si sta sviluppando una minaccia invisibile. È una forza capace di portare una tempesta di fuoco proprio alle porte della città. Un potere che richiede l’intervento di un guerriero combattuto tra un feroce dovere a cui non potrà mai sottrarsi e una pace che teme di non meritare mai.

Anche perseguendo “il bene” oppure agendo spinti dalle migliori intenzioni si possono compiere massacri e scempi, e di contro, portare avanti una “rivoluzione pacifica”, davvero pacifica, è quanto di più difficile si possa fare.

Leggendo “Il regno di rame“, questa è stata la prima riflessione che mi è venuta in mente. Che poi è una riflessione che si può applicare praticamente a qualsiasi “regno”, passato e presente, e non necessariamente letterario. E allora i dubbi di Dara – secondo me il personaggio più sfaccettato, emozionante e probabilmente riuscito – sono talmente umani e “nostri” da fare ancora più male. 

In potenza siamo tutti “migliori” del tiranno o regnante o politico che occupa la posizione dominante, e probabilmente pensiamo davvero, quando lo diciamo, che noi agiremmo in modo diverso, se fossimo al suo posto, che non scenderemmo a compromessi, che non ci sporcheremmo le mani, ma poi nei fatti…

Penso che in vista dell’ultimo capitolo della trilogia Daevabad, “The Empire of Gold” – che, vi informo, mi sono già procurata in lingua inglese e leggerò quanto prima, perché adesso sono curiosa di sapere come va a finire! -, sia questa la vera sfida che si prospetta per i protagonisti. Riusciranno a vincere senza snaturare quello che sono? A riconquistare il regno senza rinunciare alla loro umanità? A non abbassarsi, per farlo, al livello di chi vogliono destituire?

Tornando a “Il regno di rame“, penso che sia un bel “fantasy puro”, uno di quelli che non cercano di essere qualcosa di diverso dal loro genere di partenza. Questa storia è magica ed è fantastica (nel senso letterale del termine), dà vita e si fonda su una mitologia ricchissima, non lesina nel descrivere le sue ambientazioni e i suoi personaggi, usi e costumi di questa terra mitologica.

Dove forse pecca un po’ è nella caratterizzazione di quegli stessi personaggi, che ci sembrano sempre un pochino elementari. Diciamo che, come ho letto in altre recensioni, il romanzo della Chakraborty sembra perfetto per un lettore giovane, che cerca l’avventura e si concentra meno sulle sfumature emotive dei suoi eroi. Un adulto potrebbe ritrovarsi non completamente soddisfatto…

Ma appunto, come ho scritto qualche paragrafo sopra, bisogna prendere “Il regno di rame” per quello che è: una grande e magica avventura. Una cavalcata tra popoli e rituali mistici, palazzi che rispondono al lignaggio e cambiano aspetto, esseri mitologici.

Per la complessità psicologica da romanzo contemporaneo o i rapporti di coppia sviscerati allo sfinimento, citofonare altrove. Qui si vola con la fantasia. E ci si emoziona per l’epica lotta tra bene e male, più che per le storie d’amore, come in ogni fantasy che si rispetti. Ed è molto bello. 

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