“Il Signor Diavolo”: Pupi Avati riscrive il suo romanzo, tra horror e storia

Inquietudine, timore e senso di oppressione in una storia ambientata negli anni '50 a Roma

Un film di Pupi Avati. Con Filippo Franchini, Lino Capolicchio, Cesare Cremonini, Gabriel Lo Giudice, Massimo Bonetti. Drammatico, 86′. Italia 2019

Roma, 1952. Il giovane funzionario ministeriale Furio Momenté viene convocato dal suo superiore per una questione delicatissima. In Veneto, un minore ha ucciso un coetaneo convinto di uccidere il diavolo. Per motivi elettorali la questione va trattata in modo da evitare scandali. La madre della vittima è molto potente e, da sostenitrice della causa della maggioranza politica, ha cambiato opinione assumendo una posizione assai critica nei confronti della Chiesa e di chi politicamente la supporta. Il compito di Momenté è quindi quello di evitare un coinvolgimento di esponenti del clero nel procedimento penale in corso. Durante il lungo viaggio in treno, Momenté legge i verbali degli interrogatori condotti dal giudice istruttore, a partire da quello del piccolo assassino, Carlo. La realtà che comincia a dispiegarglisi davanti è complessa e sinistra, ma le cose, una volta che si troverà sul posto, si dimostreranno ben peggiori.

 

Fin dalla notte dei tempi le forze del bene e quelle del male si sono contese il controllo sull’animo umano. I miti, la letteratura, la storia ci insegnano che nessuno è immune dalla tentazione del Diavolo, sommo mistificatore.

Dopo sei anni di assenza, Pupi Avati torna al cinema riprendendo in mano con esperienza e bravura l’amato genere horror/gotico. “Il Signor Diavolo”, trasposizione spiazzante dell’omonimo romanzo, è ambientato a Roma negli anni ’50.

Il film, più che paura, trasmette inquietudine, timore e senso di oppressione nell’osservare come molti temi caldi di oggi siano simili a quelli dell’Italia del dopoguerra, impegnata nella ricostruzione. Il “diverso”, in questo caso, è il giovane Emilio (Salvatori), marchiato come figlio del demonio, considerato pericoloso e cattivo.

Scena dopo scena, attraverso atmosfere splendidamente ricostruire e contraddizioni di una società bigotta, ci si rende conto che l’epoca raccontata da Avati, con il suo inconfondibile marchio, è lontana da noi soltanto sulla carta.

“Il Signor Diavolo” parte bene, ma poi perde strada facendo la propria forza, a causa di un ritmo estremamente compassato e di una sceneggiatura che si discosta troppo dall’originale scritto. Quello che ne risulta è una via di mezzo poco bilanciata tra “Rosemary’s baby” e il primo “Esorcista”.

Il cast – dove spicca per bravura e credibilità il giovanissimo Claudio Franchini – si rivela nel complesso adeguato e funzionale al compito. Il finale, sorprendente, mette in guardia sulla natura terrena del maligno, che può nascondersi sotto mentite spoglie e dove meno ci si aspetta…

 

Il biglietto da acquistare per “Il Signor Diavolo” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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