Incontro con Chiara Marchelli, autrice del libro “La memoria della cenere”

All’Après-coup, nel cuore di Milano, per parlare del romanzo che uscirà il 24 gennaio per NN Editore

Un bistrot dall’anima déco unito a una galleria d’arte dalle linee contemporanee. Luci soffuse, spazi curatissimi. È nella suggestiva cornice dell’Après-coup, nel centro di Milano, che abbiamo incontrato la scrittrice Chiara Marchelli, in occasione dell’uscita, per NN Editore il prossimo 24 gennaio, del suo nuovo libro La memoria della cenere.

Nata ad Aosta, Chiara Marchelli si è laureata in Lingue orientali a Venezia e oggi insegna Letteratura contemporanea, traduzione e scrittura creativa alla New York University. Ha all’attivo quattro romanzi (“Le notti blu”, uscito nel 2017, è stato tra i dodici finalisti del Premio Strega), una raccolta di racconti e un saggio su New York, la città dove attualmente vive e lavora.

“La memoria della cenere” racconta la storia di Elena, una scrittrice colpita improvvisamente da aneurisma. Sopravvissuta, decide si lasciare New York e trasferirsi in Francia con il marito, nell’Auvergne, in un paesino ai piedi del vulcano Puy de Lúg. Durante la convalescenza, la mente di Elena arde di pensieri, di memorie interrotte, di sentimenti riscoperti, di attese e incertezze, come il magma che ribolle sottoterra, a pochi chilometri da lei.

Proprio di questo libro, che parla di rinascita, di un’anima che si rigenera, alla ricerca di un fragile, delicato equilibrio con le verità impassibili che governano la vita, abbiamo parlato con l’autrice Chiara Marchelli durante l’incontro.

 

Ciao Chiara. Nel libro parli di una patologia grave, l’aneurisma celebrale, e poi di un vulcano che esplode. C’è un analogia tra le due cose?

Sì, tanto che nel libro, alla protagonista Elena, nel momento in cui scoppia il vulcano, faccio dire: “Mi sta per scoppiare la testa”.

Il modo con cui descrivi questa patologia è talmente dettagliato che si ha la sensazione che tu la conosca da vicino. È davvero così?

Fortunatamente no. Se sono riuscita a scriverne in maniera così dettagliata è grazie alle ricerche approfondite che ho svolto, e all’aiuto prezioso e costante di una neurologa, che ringrazio anche alla fine del libro.

La protagonista Elena, dopo l’aneurisma, ha dovuto ricominciare – ricominciare a essere se stessa, in un certo senso ricominciare a vivere. A te è mai successo di dover ricominciare?

Tante volte. Non ho mai avuto radici. Mi sono spostata in varie città nel corso degli anni, a partire da Venezia. Adesso vivo a New York da vent’anni e mi rendo conto che ho voglia di cambiamento. Noi scrittori tendiamo a mettere nei libri quello che un po’ vorremmo ci capitasse nella vita. Ecco, questa è l’unico passaggio autobiografico del libro, il desiderio di cambiare aria. Mi auguro però di non doverlo fare in seguito a una malattia, come succede a Elena.

Soprattutto nelle prime sessanta pagine del tuo romanzo si percepisce, nella scrittura, una grande sicurezza. È in contrasto con il tuo carattere, che hai definito poco fa e anche in precedenti interviste, irrequieto?

Io non credo che la sicurezza della penna e l’irrequietezza personale non possano procedere di pari passo o andare d’accordo. Se una persona si sente irrequieta dentro può comunque sviluppare su altri fronti una robustezza che emana sicurezza. Mentre, irrequieta per natura, viaggiavo tanto e cercavo un posto mio ho costruito la mia personalità come donna. Ed è proprio nella scrittura che ho trovato sicurezza.

Ma come ti è venuto in mente di scrivere?
[Lo chiede una bimba tra il pubblico e Chiara le risponde con grande dolcezza]

Avevo otto anni. La maestra a scuola ci aveva chiesto di inventare una favola, e io ho pensato di scrivere una mia versione di “Cenerentola”. Invece delle due sorellastre ne ho messa una sola, e l’ho fatta impersonare a una compagna di classe di nome Alessia, che proprio non mi piaceva. La mia storia è poi passata dalla mia compagna di banco ad altri bambini, fino ad arrivare proprio ad Alessia, che ovviamente si è arrabbiata molto. La maestra ci ha spinto a fare pace. Ma io da quel momento ho capito che scrivere non era poi così male.

 

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