Incontro ravvicinato con il regista e attore americano Edward Norton

Dagli esordi alle lezioni apprese da grandi registi come Spike Lee e grandi attori come Marlon Brando

Al mio secondo giorno di Festa del cinema di Roma posso dire di aver avuto una – piacevole – costante, un leitmotiv. Il suo nome è Edward Norton.

Ho visto l’attore e regista americano davvero in tutte le salse, l’ultima da vicino, nell’incontro ravvicinato dove ha dialogato con il direttore artistico Antonio Monda della sua passione per il cinema d’autore e della sua carriera.

 

Viene proiettata una clip da “Schegge di paura”

Antonio Monda: Primo film subito candidatura all’Oscar. Quanto è stato importante il teatro, da cui provenivi?

Edward Norton: Continuo a chiedermi chi fosse quel ragazzo nella clip, sembra una vita fa. Il teatro è stato fondamentale, per me, per imparare a capire il testo. Diciamo che mi sono fatto i muscoli. A teatro devi avere dentro di te l’intero arco narrativo di una storia, e questa formazione mi ha aiutato poi anche al cinema, sebbene lì questo processo sia molto più frammentario. Ho avuto anche un insegnante molto valido, che mi ha insegnato a usare gli strumenti del mestiere. E che si reciti a cinema o a teatro, mi piace citare una battuta di Dorothy Parker: se scalfisci la superficie di un attore, sotto ci trovi un’attrice. Amo entrambi, ma a teatro ti senti davvero una rockstar e crei un rapporto viscerale con il pubblico.

 

Viene proiettata una clip da “Tutti dicono I Love You”

Com’è stato, da attore emergente, lavorare con un maestro come Woody Allen?

Mi ricordo che Woody non disse a nessuno che sarebbe stato un musical, ve lo giuro! Ero eccitato di aver avuto il ruolo e chiamai subito mia madre per dirglielo, eravamo entrambi grandi fan di Allen. Due mesi dopo, però, mi contattarono per mandarmi della musica da imparare e farmi prendere lezioni di canto. Chiesi che diamine stesse succedendo, e mi risposero: “Il film sarà un musical”. Non credo sia stato per questa performance che mi hanno definito “il giovane De Niro”.

Proprio a proposito di De Niro, che ricordi hai dell’esperienza sul set di “The score” con lui e un altro mostro sacro come Marlon Brando?

I primi ciak quando eravamo tutti insieme li ricordo molto vividamente. Marlon Brando doveva versare dell’acqua in un bicchiere ma si rovesciò tutto addosso, mentre Robert De Niro si addormentò tra una ripresa e l’altra. Non era ciò che mi aspettavo, ma è stato divertente.

Al di là degli aneddoti divertenti?

Marlon Brando ha avuto un impatto incredibile sulla recitazione e sugli attori, di oggi e del passato. La generazione di De Niro e di Meryl Street deriva da Brando. Il lavoro di Bob era estremamente intenso, sembrava in grado di esprimere un’inquietudine interiore senza usare le parole. Le sue performance hanno un ritmo molto particolare, difficile da riprodurre.

 

Viene proiettata una clip da “Larry Flynt”

Hai recitato nel film “Hulk”. Che cosa ne pensi delle recenti dichiarazioni di Martin Scorsese sui film Marvel come “parchi divertimento”?

Penso che Martin Scorsese si sia immerso nel cinema più di chiunque altro: è totalmente preso dalla sua arte, e per questo si è guadagnato il diritto di avere qualunque opinione sul cinema. Comunque ho sentito l’intervista ed era molto più complessa di come è stata poi riportata. Scorsese faceva un discorso più ampio, parlava di ciò che per lui crea emozione. Ognuno si emoziona con stimoli diversi, non c’è una formula e non si può mettere per iscritto cosa generi la magia del cinema.

 

Viene proiettata una clip da “American History X”

Come hai fatto a calarti in un personaggio così orrendo?

Dopo aver girato tre film con gli stessi identici capelli, qui finalmente ho cambiato acconciatura! Molte tragedie di William Shakespeare sono storie su personaggi con grandi qualità e un enorme potenziale, ma condannati a causa di un errore. Qui io e David McKenna abbiamo realizzato un film sulla classica “caduta” con un protagonista dell’epoca moderna: un uomo distrutto dalla propria ira.

 

Viene proiettata una clip da “Fight Club”

Questo è stato sicuramente un momento di svolta per la tua carriera. Cosa ne pensi dell’impatto di quel film?

“Fight Club” è un esempio dell’influenza di un regista su un film: qui David Fincher dà prova di un virtuosismo straordinario. Non riesco a pensare a nessun altro per quel film, non sarebbe mai stata la stessa cosa senza Fincher. Conoscevo il romanzo, è molto divertente. Ci siamo sentiti tutti molto connessi a questo soggetto: il film ha avuto origine da qualcosa che sentivamo davvero e che ci apparteneva nel profondo. È un film che abbiamo fatto per noi stessi e per i nostri amici, e vi abbiamo lavorato con la massima sincerità. A un certo punto, prima della sua presentazione, Brad Pitt mi chiese cosa ne pensassi, ed entrambi eravamo concordi: sarebbe andato malissimo. Per consolarci, ci siamo fatti una canna insieme! Quando fu proiettato alla Mostra di Venezia venne accolto da fischi, e al box office non andò benissimo; ma non importa, perché “Fight Club” ha iniziato a parlare veramente al pubblico e con il tempo è diventato ciò che volevamo. L’esperienza artistica è molto più profonda di tutto il resto e conta più degli applausi in sala e del successo commerciale.

 

Viene proiettata una clip da “La 25ª ora”

Hai dichiarato in passato che Spike Lee è il regista che ti ha segnato di più. In che modo? 

L’uscita di “Fa’ la cosa giusta”, per me che ero all’epoca uno studente universitario, fu un terremoto. Ha cambiato l’idea di ciò che volevamo da quel lavoro, perché era davvero molto personale. Spike Lee è un autore assolutamente originale e con il suo cinema ha esplorato New York e l’America, confrontandosi continuamente con la morale e le sfide morali della società americana. “La 25ª ora” è stato realizzato in soli ventisei giorni, una rapidità impressionante. Da lui ho appreso il lavoro meticoloso, l’attenzione ai dettagli, l’efficienza incredibile, soprattutto per girare in una città come New York. Vederlo lavorare ha cambiato completamente il mio modo di vedere e affrontare questo lavoro e le sue tempistiche: non avrei mai potuto portare a termine “Motherless Brooklyn” se non fosse stato per la lezione di Spike Lee.

 

Viene proiettata una clip da “Moonrise Kingdom”

E invece qual grande lezione che hai imparato da Wes Anderson?

Che è divertente essere un burattino. Tutti i personaggi sono un po’ Wes, e lo rappresentiamo tutti. Non sono mai stato più felice di sentirmi dare da un regista una battuta. Mi piace essere un burattino di Wes Anderson.

 

E con questa battuta Edward Norton si alza e lascia il palco della Festa del cinema, con la folla in delirio per un attore e un regista così grande eppure così timido, riconoscente e disponibile. In una parola, umano.

 

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