Intervista a Mavis Miller, scrittrice di libri per bambini e ragazzi

A novembre è uscito per DeA il suo nuovo libro illustrato, "Floppy. A che cosa serve un amico?"

Mavis Miller – pseudonimo dietro cui si nasconde Maria Daniela Raineri – è una scrittrice di libri per bambini e ragazzi. Il versante fantasioso della sua anima è emerso grazie alla serie “Lisbeth”, edita da DeAgostini, e dopo non ha più voluto saperne di mettersi buono. E così Mavis continua a scrivere storie fantastiche, che contengono però anche messaggi profondi.

A novembre è usciro per DeA il suo nuovo libro illustrato, “Floppy. A che cosa serve un amico?” storia di una bambina geniale e dell’amico robotico, e disubbidiente, che si costrisce per ovviare al problema di non avere molti amici.

LEGGI ANCHE: La recensione del libro “Floppy. A che cosa serve un amico?”

Proprio di questo, del rapporto con l’illustratore del libro, Andrea Cavallini alias Dr. Bestia e delle responsabilità di scrivere storie per un pubblico giovane abbiamo parlato nella nostra intervista.

 

Diamo il benvenuto a Mavis Miller su Parole a Colori. Prima di parlare del tuo nuovo libro, una domanda “personale”. Mavis Miller in realtà è la scrittrice Maria Daniela Raineri. Perché hai deciso di crearti uno pseudonimo e un vero e proprio alter ego, per scrivere i tuoi libri per bambini e ragazzi?

Mavis Miller è nata con le storie di Lisbeth ed è diventata la mia inviata ufficiale nel mondo della fantasia. Adesso, se voglio raccontare qualcosa che va al di là della realtà quotidiana, mi affido a lei. Finora ha portato a casa delle storie molto interessanti, dunque non ho ancora intenzione di licenziarla.

Ti senti un po’ Pessoa, alle volte, divisa tra due storie e due personalità diverse?

In realtà no. Le due personalità si sono integrate molto bene e convivono pacificamente con le altre cinquanta!

Parliamo adesso del tuo nuovo libro, edito da DeA. Com’è nata l’idea per “Floppy. A che cosa serve un amico?”

La prima scintilla è arrivata quando ho notato intorno a me il grande entusiasmo per la robotica e il fiorire di tanti corsi di coding per ragazzini. Guardavo su Internet i video con robot super efficienti, che cantavano, danzavano o pulivano casa e mi domandavo perché (pur ammirando chi era capace di costruirli) li trovassi tutti un po’ antipatici. Poi ho capito: erano troppo obbedienti! Così mi sono chiesta: cosa farebbe un bambino se scoprisse di aver creato un robot completamente inutile?

Leggendo il libro mi sono venute in mente celebri amicizie “particolari” del cinema – come quella tra il piccolo Elliot e l’extraterrestre E.T. oppure quella tra Kat e il fantasmino Casper. Ti sei ispirata a qualche coppia di amici famosi in particolare?

Non intenzionalmente, ma di certo qualcosa di tanti film visti e libri letti mi è rimasto dentro ed è finito in questa storia (però non ho mai visto “Casper”, lo confesso!). Se devo dirla proprio tutta, mentre scrivevo ho sempre pensato più ad Amelia che a Floppy. È lei la vera protagonista, il viaggio della storia è tutto suo.

Ma in “Floppy”, perdona la mia anima da cinemaniac, io ho rivisto anche qualcosa del robottino di Guerre Stellari C1-P8. Qualche influenza da questo fronte?

Fuoco! Ci ei andata vicinissima! Le prime volte che pensavo a Floppy mi veniva in mente un robottino di Star Wars, ma non C1, bensì BB-8, il piccoletto rotondo bianco e arancione, che mi fa molto ridere. Naturalmente, stesura dopo stesura, il personaggio ha acquistato caratteristiche tutte sue. Eppure, nella mia testa non riuscivo ancora a vederlo nei dettagli… fino a che Andrea – Dr Bestia – Cavallini con i suoi disegni non gli dato davvero vita!

Se il tema centrale di “Floppy” è sicuramente l’amicizia, in tutte le sue forme, c’è spazio tra le righe anche per argomenti delicati come il bullismo, la perdita di un genitore, la solitudine. Quanto credi che sia importante parlare di queste tematiche nei libri per bambini, utilizzando magari, come nel tuo caso, una vena di ironia e un tono leggero, adatto a lettori così giovani?

Non so se sia importante o no. Però quando scrivo finisco sempre per creare personaggi imperfetti, con qualche ferita più o meno profonda. Mi piace mettere in difficoltà i protagonisti delle mie storie, per far loro scoprire dei lati forti che nemmeno immaginavano. In questo senso, le tematiche un po’ più pesanti (in questo caso, il bullismo, o la scomparsa del papà) arrivano quasi in automatico. Forse perché voglio molto bene ai miei personaggi, non ho paura di metterli di fronte a cose anche molto spiacevoli. Ho grande fiducia in loro e so che, in un modo o nell’altro, saranno capaci di rialzarsi e reagire.

“Floppy” è un libro illustrato, dove le illustrazioni giocano un ruolo fondamentale – integrano la storia, raccontano a loro volta qualcosa, traducono in maniera immediata dei passaggi. Com’è stato lavorare con l’illustratore Dr. Bestia? Vi siete capiti al volo oppure è servito anche a voi, come a Floppy, un po’ di rodaggio?

Io e Dr. Bestia, in quanto a comunicazione verbale, be’, lasciavamo un po’ a desiderare. Durante le riunioni, la nostra conversazione tipo era questa: Io: “Mah, non so, io qui ci vedrei qualcosa di più, cioè, di meno… ecco!” Lui: “Uhm.” Eppure, alla fine ce l’abbiamo fatta! Ci siamo parlati attraverso ciò che ci riesce bene: io con le parole scritte, lui con il disegno. E ora le sue tavole raccontano alla perfezione tutto ciò che avevo in mente. Anzi, di più. Praticamente ogni scena, se solo io sapessi disegnare, l’avrei disegnata proprio così!

La morale della storia è che chi trova un amico trova un tesoro, oppure che anche i bulli hanno un cuore, magari ben nascosto?

Aggiungerei altre due cose: la prima è che, se non lasciamo un po’ di spazio alle cose inutili, la nostra vita diventa triste. La seconda è che tutte le passioni (che siano costruire robot, ricamare a punto e croce, guardare serie tv o altro) diventano molto più belle se le condividiamo con qualcuno.

 

Previous articleTorino Film Festival: svelati i titoli di sei pellicole presentate alla kermesse
Next articleHouse of Cards: il “regno” di Claire Underwood chiude la serie Netflix
Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here