Intervista a Paolo Regina, autore del romanzo “Morte di un antiquario”

Il suo esordio, edito da SEM, porta alla ribalta il capitano della Guardia di Finanza Gaetano De Nittis

Paolo Regina, avvocato, ha insegnato discipline economiche presso la facoltà di Lettere dell’Università di Ferrara, città dove vive. È anche docente di Comunicazione e public speaking in corsi per imprenditori e manager.

Morte di un antiquario”, primo capitolo delle indagini del capitano della Guardia di Finanza Gaetano De Nittis, pugliese trapiantato a Ferrara, edito da SEM, è il suo romanzo d’esordio. Una storia che porta alla scoperta del mondo dell’antiquariato e delle opere d’arte perdute…

Diamo il benvenuto a Paolo Regina su Parole a Colori, dove parleremo del suo libro, della tradizione del genere giallo in Italia, di modelli e molto altro.

 

La Guardia di Finanza non è quello che si dice un corpo di polizia molto “simpatico” all’italiano medio – né molto sfruttato nei romanzi. Perché hai deciso di scegliere proprio un finanziere come protagonista? Volevi dimostrare che al di là delle multe per i mancati scontrini fiscali emessi c’è molto, molto di più?

Convengo che immaginare un capitano della Finanza protagonista di un giallo potrebbe sembrare un’operazione pericolosa. E in effetti non mi risulta che ci siano precedenti nella letteratura noir. Ma Gaetano De Nittis, oltre ad essere un finanziere sui generis per carattere e modo di operare, si occupa, nelle sue indagini, di temi che non riguardano affatto la materia fiscale, come, ad esempio, il traffico di opere d’arte, le truffe nel mondo dello spettacolo o la lotta alle centrali di spaccio. Ho voluto anche ridare a questo Corpo un po’ “bistrattato” la giusta dignità di forza di polizia a 360 gradi e non solo di verificatori tributari. E rendere i finanzieri umani e simpatici, come in effetti spesso sono, al di là dei luoghi comuni.

Il protagonista del tuo libro, De Nittis, è un pugliese trapiantato di recente a Ferrara. Per certe sue caratteristiche – la dedizione al lavoro, certo, ma anche l’amore per la cucina, la battuta in dialetto sempre pronta e il rapporto particolare con l’altro sesso – mi ha fatto pensare a un altro celebre commissario letterario, Montalbano. Ti sei ispirato a qualche personaggio in particolare, per creare il tuo?

Camilleri con il suo Montalbano è sicuramente un importante punto di riferimento per tutti i giallisti italiani. E non solo. Anche altri illustri predecessori – penso innanzitutto a Simenon con Maigret e a Montalbàn con Carvalho – hanno disegnato figure di investigatori molto realistici, con i tic, i vizi e le intemperanza, ma anche l’eroismo, che spesso ha la gente comune. Diciamo che ciò che accomuna il mio personaggio a quelli di Maestri così illustri potrebbe essere l’umanità, l’insofferenza per le gerarchie e la credibilità. Ho cercato di rappresentare “uno di noi”, come si direbbe oggi, senza ispirarmi a nessun autore in particolare, ma inserendo il mio De Nittis nel filone degli eroi della vita quotidiana, quelli che incontriamo ogni giorno dal panettiere o sul bus.

Il genere che potremmo definire giallo all’italiana, dove le storie e i personaggi sono profondamente calati e legati alla realtà regionale di cui si parla, sta vivendo una nuova giovinezza. Penso ai romanzi toscani di Malvaldi o alle storie valdostane di Manzini con protagonista il romano doc Rocco Schiavone. “Morte di un antiquario” si inserisce in questa tradizione, secondo te? E quanto è importante l’ambientazione ferrarese per la tua storia?

Nel mio romanzo, in effetti, la trama del “giallo”, la risoluzione del caso, sono un pretesto per raccontare anche altre cose. La provincia italiana, alcuni meccanismi all’interno di clan “chiusi”, tipici delle piccole città, la grettezza e l’avidità di certe figure all’apice della scala sociale, le invidie, la maldicenza, ma anche i fenomeni di trasformazione dei centri urbani e, di conseguenza, delle sub-culture locali. Ferrara è, appunto, l’emblema della piccola città di provincia, con le sue contraddizioni e trasformazioni. È il paradigma dell’Italia, in un certo senso. Ed è la città che conosco meglio. È importante proprio per questo. Per il suo significato simbolico. Ritengo poi molto positivo che ci sia un ritorno alla valorizzazione della cultura italiana, locale e nazionale, anche attraverso il romanzo “di genere” come il giallo. È un modo per confermare e consolidare la nostra identità in un periodo di globalizzazione, ed è un’occasione per ribadire una creatività “trasversale” che passa dalla storia, all’arte, all’enogastronomia e a tante altre eccellenze. Una promozione alla cultura italiana che all’estero trova ancora molti estimatori.

Il caso del romanzo, la morte dell’antiquario Uber Montanari, porta il pubblico alla scoperta di un mondo affascinante come quello del mercato dell’arte – anche sotterraneo. Quanto è stato complicato raccogliere informazioni su questo ambito? E cosa ti ha affascinato, al punto di sceglierlo come terreno per il tuo giallo?

Ferrara è una città misteriosa, uno scrigno di storia e di magia. Mi è quindi venuto abbastanza naturale inserire l’arte, di cui la capitale estense è ricchissima, nella trama del romanzo. Conosco personalmente alcuni antiquari e mi hanno sempre affascinato i loro racconti e la loro continua ricerca del “pezzo unico”, del colpo da maestro, dell’opera introvabile. Mi sono ispirato a loro nel tratteggiare la figura di Uber Montanari, un mercante d’arte che va però ben oltre, perché sconfina nella ricerca esoterica e nel traffico su commissione di pezzi proibiti. È un mondo affascinante che mi ha portato a studiare e documentarmi per molti mesi anche sulla storia segreta di Ferrara e su alcune sue leggende.

“Morte di un antiquario”, al di là del caso su cui indaga De Nettis, riesce a mio avviso a descrivere molto bene anche i sentimenti dei “fuori sede”, quelle persone che lasciano la terra d’origine per lavoro (come nel caso del finanziere) o per rifarsi una vita in seguito a una delusione d’amore (come Rosa). Da pugliese di origini ma ferrarese di adozione hai attinto dalla tua esperienza personale per questo lato dei tuoi personaggi?

De Nittis è, da buon pugliese, un “levantino”. Da un lato è acuto, anticonformista, viaggiatore. Un uomo di mare, si potrebbe definire. Ma dall’altro è anche molto legato alle tradizioni della sua terra, incluse quelle gastronomiche. Quando arriva a Ferrara si scontra con una mentalità chiusa, a tratti inospitale (Ti accolgono bene da turista, ma non ti accettano se diventi stanziale, si trova a pensare il capitano) e con un clima e un cibo che, inizialmente, non riesce ad apprezzare fino in fondo. Sono quindi inevitabili i confronti con la sua Puglia. Così come, sul piano sentimentale, è naturale, per De Nittis, sentirsi attratto da Rosa, una bella ragazza siciliana, solare e sincera, con i suoi stessi problemi di adattamento e con la sua stessa avversione verso i cappellacci di zucca. Per quanto mi riguarda, ho trasfuso un po’ della mia esperienza reale nel personaggio, perché, in genere si scrive sempre un po’ di sé. Sono arrivato a Ferrara da studente universitario e l’integrazione non è stata facilissima, lo confesso. È una città a circoli chiusi, diffidente, ma anche culturalmente molto vivace e ricca di stimoli. Col tempo ho imparato ad amarla e ora sono molto più indulgente di De Nittis nel giudicarla.

“La Giustizia a volte segue strade complicate per arrivare a destinazione” pensa De Nittis, una volta arrivato alla conclusione del caso Montanari. Col tuo finale chiuso ma non troppo hai voluto lanciare un’ultima stoccata ai tuoi lettori?

Il senso del romanzo è racchiuso in un aforisma di Leonardo da Vinci che ho riportato nella prima pagina: “Chi non punisce il male comanda che si faccia”. Senza svelare il finale che è totalmente inaspettato, si tratta del grande tema della giustizia formale e di quella sostanziale. Il colpo di scena dell’ultima pagina ha a che fare proprio con questo.

Che progetti hai adesso per il capitano De Nittis? “Morte di un antiquario” è solo l’inizio della sua storia oppure al momento non pensi di dare un seguito al tuo romanzo?

De Nittis è stato pensato come un personaggio seriale e le numerose testimonianze di simpatia che ha raccolto in questi mesi mi hanno convinto che la strada è proprio quella. Sto quindi ultimando un “De Nittis 2” che sarà ancora più coinvolgente e ricco di colpi di scena del primo. Ovviamente ci sarà sempre Ferrara sullo sfondo!

Grazie a Paolo Regina per essere stato con noi.

Grazie per la vostra attenzione.

 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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