Intervista a Nuno Escudeiro, regista di “The law and the valley”

Portoghese di origine, da anni in Italia, presenta al London Film Festival il suo documentario

Il mio giro di interviste al London Film Festival 2019 si apre, con grande emozione, con Nuno Escudeiro, regista, documentarista e artista visivo portoghese da anni residente in Italia.

Al festival di Londra presenta il suo ultimo lavoro, “The Law and the Valley” (The Valley), risultato di quasi due anni di riprese che mostra al pubblico dicotomie e contraddizioni della valle di Roya, terra di confine tra Italia e Francia, dove l’accoglienza ai migranti è diventata per gli abitanti un obbligo morale da portare avanti nonostante la legge.

Escudeiro mi raggiunge in un pomeriggio piovoso, in una delle sale conferenza del May Fair Hotel, crocevia di incontri/scontri per i giornalisti che seguono il festival. Mi trovo davanti una persona paziente, generosa, solare pronta a rispondere alle mie domande per raccontare il suo documentario, toccante e traboccante di umanità.

 

Innanzitutto, vorrei complimentarmi per il tuo documentario: l’ho trovato emozionante e sincero, un bel “bagno di realtà” per molti versi.

Grazie mille

Vorrei partire un po’ dal tuo lavoro. Ti descrivi come un artista che lavora su “diversi campi dell’immagine in movimento” ma negli ultimi anni mi sembra che tu ti sia focalizzato soprattutto sui documentari. Che cosa è che ti colpisce, in particolare, di questo genere?

A me piace in generale lavorare con le immagini, soprattutto la parte di produzione, ovvero stare sul luogo, parlare con la gente e conoscere le persone. Il documentario è un genere che mi permette di entrare in questi universi per creare qualcosa, attraverso dei processi che possono anche durare anni ma che mi permettono di fare un’esperienza completa come essere umano. Dopo aver provato le prime volte a entrare in un universo che non conosco cercando di capire la complessità della situazione, mi sono reso conto che i documentari erano quello che volevo fare, il tipo di vita che volevo, avvicinarmi alla gente, prendere la loro voce. Continuo anche a lavorare a installazioni in gallerie, però anche questi lavori sono sempre fatti sulla base di un approccio documentaristico.

In “The Law and the Valley” ti focalizzi sul punto di vista di alcune persone del luogo, come l’attivista Cédric Herrou. Come mai hai scelto di seguire proprio queste storie?

Quando sono arrivato sul posto ho visto che tutti davano una mano, offrendo un aiuto a chi aveva bisogno. Nel tempo ho visto questa situazione svilupparsi in modo più politico, un esercizio di partecipazione democratica portata avanti anche cercando di cambiare le cose per vie legali. Quindi le persone che ho scelto di rappresentare nel mio documentario sono quelle che hanno esteso il concetto di “dare una mano”, quelle che sono riuscite a trasformare un aiuto umanitario in un atto politico.

Per quanto tempo sei stato a contatto con la comunità della valle di Roya?

Ho girato il film per due anni. Io abito a Bolzano per cui ho sempre fatto avanti indietro e, fortunatamente, mi sono sempre trovato nella valle nei momenti più importanti, quando avvenivano cambiamenti di rilievo.

Immagino che il detto “essere nel posto giusto al momento giusto” si applichi al tuo lavoro, in questo caso…

Sì, ma bisogna anche raccontare nel modo giusto quello che si vede e che accade, usando il materiale a disposizione. Non è facile. Per esempio, nel documentario c’erano dei buchi narrativi ai quali abbiamo dovuto rimediare in fase di montaggio.

Ad esempio? Quali elementi hai pensato che mancassero dopo le riprese?

Non è stato facile rappresentare il passaggio da una lotta umanitaria a una lotta politica. Per riuscirci, ad esempio, abbiamo inserito in un momento diverso da quello in cui è realmente accaduta la scena dove Cédric protesta davanti ai giornalisti su un procedimento del tribunale. Questo per far percepire al pubblico il fatto che l’atteggiamento della comunità fosse cambiato.

Il tema della migrazione e della mobilità è presente anche nei tuoi precedenti lavori, come “Qui nessuno è straniero” o “Chronicles of the Wind and Stillneess”. Da dove nasce questo tuo interesse?

Io sono portoghese, abito in Italia, però non ho mai vissuto le situazioni che gli immigrati vivono oggi, sono sempre stato accettato e ho sempre avuto tante opportunità. Avevo però una fidanzata russa che, a un certo punto, ha ricevuto un ordine di espulsione dal territorio per un errore amministrativo. Assistere a questo momento di violenza e dramma mi ha spinto a cercare di capire meglio il sistema, che alla fine dei conti ha degli effetti anche su di me. Ho cominciato così a interessarmi alla questione dei diritti, del territorio e dell’immigrazione.

E come sei entrato in contatto con la realtà della valle di Roya, e quali pensieri ti ha provocato quello che succede qui?

Per un periodo ho vissuto tra il Nord della Finlandia e Bolzano e a un certo punto ho sentito dire che i confini erano presidiati dalla polizia e dai militari, che facevano controlli e cercavano immigrati clandestini. Ho così cominciato a fare delle ricerche e ho scoperto che la popolazione vicino al Brennero, per esempio, aveva cominciato ad aiutare i rifugiati, anche per vie legali, ma comunque cercando di farlo di nascosto, senza dichiararlo apertamente per paura delle conseguenze. Invece, gli abitanti della valle di Roya, pur facendo le stesse cose che altre persone facevano lungo altri confini, aiutavano gli immigrati pubblicamente, cercando di attirare l’attenzione sulla situazione e chiedendo aiuto allo Stato, mettendo in discussione la stessa società francese. Quindi mi sono chiesto: perché nella valle di Roya c’era questa maggiore trasparenza? Così mi sono recato sul posto, per cercare una risposta e alla fine ci sono rimasto per due anni…

Però, come dice Cédric stesso, nonostante la bontà degli ideali e delle azioni, lui viene condannato dallo Stato per il lavoro che fa anche se, di fatto, è lo Stato che dovrebbe occuparsene…

All’inizio quello che le persone cercavano di fare era di sopperire alla mancanza dello Stato cercando di portare all’attenzione di tutti il problema; un’idea di partecipazione democratica, cercare di mostrare il problema e la situazione per poi cambiare il sistema. Avendo però ottenuto l’effetto contrario, hanno dovuto cambiare il loro atteggiamento, mettendo a punto un sistema alternativo, fare democrazia con le loro mani. Per cui, in mancanza di leggi, hanno creato le loro leggi che, in realtà, sono più vicine alle leggi dello stato rispetto a tante altre.

 

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Federica Gamberini
Bolognese di nascita, cittadina del mondo per scelta, rifugge la sedentarietà muovendosi tra l’Inghilterra (dove vive e studia da anni), la Cina, l’Italia e altre nazioni europee. Amante della lasagna bolognese, si oppone fermamente alla visione progressista che ne ha la signorina Lotti, che vorrebbe l’aggiunta della mozzarella. Appassionata di storie, nel tempo libero ama leggere, scrivere, guardare serie TV e film, e partecipare a quanti più eventi culturali possibile.

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