Intervista all’artista Filippo Cristini

di Diana Clerici

 

“Nati al crollo dei muri, diventati adulti al crollo delle torri”: è in questa cornice che si contestualizza Filippo Cristini, artista comasco residente a Milano.

Proprio nella metropoli meneghina, allo Spazio Seicentro, sono state esposte fino al 30 ottobre alcune sue opere, raccolte in una mostra dall’evocativo titolo “La città visibile”.

Fonte d’ispirazione la stessa Milano, con i suoi immarcescibili monumenti storici, i binari che evocano interscambi e dinamicità, le architetture industriali, gli scorci urbani. Tutti questi elementi hanno la stessa dignità per essere rappresentati e rappresentare, anche attraverso un uso particolare del colore e della luce, la personale visione dell’artista.

Ho avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Filippo Cristini, per parlare d’arte, di Italo Calvino e non solo.

L’artista Filippo Cristini all’opera.

Ciao Filippo. Come prima cosa ti chiedo di raccontarci qualcosa di te e di come ti sei avvicinato alla pittura.

Ho sempre cercato il modo di esprimermi, con la musica, con le parole, con il teatro, ma la pittura si è rivelata da sé come la via a me più congeniale per farlo. Questo non ha niente a che vedere con la concezione romantica di spontaneità e ispirazione: significa che c’è una corrispondenza tra certi contenuti – nel mio caso le immagini – e un certo tipo di forma. Dipingere rappresenta per me questa corrispondenza. L’immagine è il tipo di linguaggio che ho scelto, e tutto sta nel cercare di parlarlo al meglio. Se mi sono avvicinato alla pittura lo devo alla curiosità che ho e che ho avuto per la storia dell’arte ai tempi della scuola, e la curiosità stessa la devo alle persone che hanno stimolato in me il desiderio di conoscenza. Insomma, è difficile dire dove qualcosa veramente incomincia. So però che l’aver visto alcuni film, l’essermi fermato davanti a particolari opere d’arte e l’aver ascoltato certa musica mi ha permesso di vedere e cercare determinate immagini nella vita di tutti i giorni. In un certo senso continuo ad avvicinarmi alla pittura ogni volta che vedo qualcosa e mi rendo conto solo in un secondo tempo di averlo visto prima come immagine e solo dopo come consueto oggetto della percezione. Una torre in costruzione, un paesaggio, un palazzo: li vedi già su una tela con questo o quel colore, sai già che ascolterai Mahler o i Joy Division mentre sarai al lavoro.

Il titolo della tua mostra richiama quello di un libro di Italo Calvino, “Le città invisibili”. Si legge nel testo: “Di una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”. Qual è la domanda che hai posto tu a Milano e che risposta hai avuto?

Sicuramente si tratta di un libro sempre ricco di sorprese e che è stato importante per me. Tutti però citano sempre l’ultima frase, quando invece il nocciolo dell’opera sta proprio nel passo che tu riporti. Milano mi risponde un po’ tutti i giorni rispetto alla pasta di cui sono fatto davvero. Diciamo che mi mette davanti alle mie possibilità senza tanti complimenti né sconti: se in questo mestiere non riesco, vuol dire che non riuscirò da nessun’altra parte.

Milan no wave, Filippo Cristini.

Oltre a Milano, quali sono le città a cui sei legato e cosa incontri nei volti delle persone che ci vivono?

Ho vissuto principalmente tra Como, Pavia e Milano. Ci sono state altre città importanti per me, ma le conosco solo da turista. Innamorarsi dell’India per averci passato un mese o sentirsi di casa a Parigi sono solo velleità bohémien. Di una città amo conoscere le strade, i cortili, le case… anche quelle che non ci sono più o che rimarranno sempre inaccessibili, ma per farlo ci vuole tanto tempo, tanta fantasia e un po’ di fanatismo. Con Milano siamo ancora alle prime scaramucce. Riguardo ai volti, ho appena trascorso una giornata al Cimitero Monumentale per fotografare le statue sulle tombe: sarà il materiale di partenza per un nuovo progetto.

Grazie a Filippo Cristini per essere stato con noi.

 

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