Intervista all’autore Dario Levantino

"La violenza del mio amore", l'urgenza di portare avanti un racconto delle periferie, il futuro

Ha esordito per Fazi nel 2018 con il romanzo Di niente e di nessuno, e da quel momento ha continuato a raccontare la storia del suo protagonista, Rosario, prigioniero della dura realtà del quartiere Brancaccio di Palermo in altri due romanzi molto apprezzati, Cuorebomba (2019) e La violenza del mio amore (2021). 

Dario Levantino ha saputo colpire il pubblico – e la critica – al cuore in questi anni, è davvero il caso di dirlo, attraverso un personaggio emotivamente forte e realistico, un ultimo che non vuole arrendersi al destino di degrado e disperazione che sembra già scritto per lui. E allora lotta e continua a lottare.

Nel suo nuovo romanzo, La violenza del mio amore, uscito in libreria il 2 settembre, Anna torna a Palermo incinta di lui, e Rosario giura a se stesso che farà di tutto per prendersi cura di lei e del bambino non ancora nato. Ma in una realtà come quella di Brancaccio neppure sognare è possibile, senza l’approvazione del boss.

Dello sviluppo del personaggio di Rosario e di cosa significhi crescere e maturare in una periferia degradata, ma anche scriverne, per far conoscere questo tipo di realtà al pubblico, abbiamo parlato con Dario Levantino nel nostro secondo appuntamento con “Intervista con l’autore – 7 domande a…”.

1 In “La violenza del mio amore” ritroviamo Rosario in procinto di diventare padre del bambino di Anna. Che significato ha per lui – e per lei – questa nuova vita che si sta formando?

Lo stesso significato che aveva prima, nei precedenti romanzi: la sopravvivenza. È un destino che si accanisce, quello de La violenza del mio amore. Come un lupo fiuta tra gli esseri viventi le prede più deboli per cibarsene. Ma non ha fatto i conti con l’arma con cui si schermiscono i due personaggi, Rosario e Anna. L’amore.

2 Oltre ai personaggi che il lettore ha imparato ad amare – o a odiare – torna immancabile e potente la descrizione della periferia palermitana, del quartiere di Brancaccio. Da Pasolini alle banlieue francesi, quanto pensi che sia importante, nel 2021, raccontare queste realtà così vicine, eppure per tanti lettori così lontane?

Se non fosse parola troppo blasonata e svilita, direi che il dibattito sulle nostre periferie è “urgente”. Al mondo intellettuale, ancor prima di quello politico, io non perdono questo: l’indifferenza sul destino delle “nostre banlieue”. Di tanto in tanto le periferie compaiono come set di alcuni romanzi, come succede ne La violenza del mio amore, ma me ne delude il fine, cioè il puro intrattenimento privo di una profonda riflessione. Gli altri scarsi e io invece sono bravo ad accendere i riflettori? No, chiaro, ma nel mio piccolo ho provato a spostare l’attenzione. Al di là della fiction, tra le righe di questo romanzo c’è una denuncia che non fa sconti a nessuno, mondo intellettuale, borghesia urbana e politica tutta.

3 Nei tuoi romanzi unisci al racconto intimo dello sviluppo del tuo protagonista, dall’adolescenza alla maturità, la riflessione sociale. A chi si ispira, Dario Levantino, per il suo stile?

Io leggo parecchie sceneggiature. Mi piacciono le prose asciutte di una certa letteratura americana, mi piacciono le denunce dei romanzi sociali di una certa letteratura ottocentesca. Mi piacciono le parole semplici per spiegare fenomeni complessi. Al romanzo io riconosco questo compito. Il mio stile è la conseguenza di questa mia convinzione.

4 Uno degli aspetti più affascinanti dei tuoi libri, dal punto di vista puramente stilistico e letterario, è il mescolarsi di elementi antichi, come il richiamo alla pietas di virigiliana memoria, con altri assolutamente moderni, il ritmo sferzante, la lingua agile e quasi mimetica. Quanto lavoro c’è, dietro una costruzione di questo tipo?

Devo dire poco, ma non sono sicuro che questo costituisca un punto a mio favore. La voce narrante di Di niente e di nessuno, Cuorebomba e La violenza del mio amore parla, pensa e sogna come parlo, penso e sogno io. D’altra parte chi è che diceva che “gli scrittori parlano sempre di sé; quando i romanzi gli riescono, ti illudono di parlare di te”?

5 Di niente e di nessuno”, “Cuorebomba” e “La violenza del mio amore”, anche se possono essere letti come romanzi indipendenti, formano una sorta di trilogia. Avevi in mente un progetto di questa portata, quando hai iniziato a scrivere, oppure la storia ha preso forma mano a mano, quasi in maniera autonoma?

Avevo in mente di scrivere una storia di amore aperta; volevo scrivere una storia che non si concludeva, perché mi pare che nella vita succeda proprio questo. I capitoli successivi a Di niente e di nessuno sono una declinazione di questa meccanica. È un romanzo di formazione – dicono – e allora proprio per questo non si conclude perché difficilmente smettiamo di crescere. E se questo succede a un personaggio, allora è un cattivo personaggio.

6 Citando De André [“Via del campo”, ndr], in un articolo hai scritto che “dal letame nascono i fiori”, detto in altre parole che solo gli ultimi conoscono la vera pietà, perché ne hanno bisogno. Come vedi il futuro, prossimo e meno prossimo, del nostro Paese? Pensi ci sia speranza che cambi qualcosa in positivo? E la pandemia, in questo senso, ci avrà insegnato qualcosa oppure siamo quelli di sempre, o peggio?

Sono pessimista, quindi arrabbiato, quindi ostinato, quindi ottimista. No, la pandemia ha soltanto peggiorato un quadro che era già di per sé deprimente. Viviamo in una Repubblica il cui art. 3 della Costituzione, quello sull’uguaglianza, viene ogni giorno sospeso. Gli ultimi due anni hanno resto la forbice sociale sempre più ampia; ora la distanza tra chi ha e chi non ha è vertiginosa. Ci hanno raccontato la favola del neoliberismo e della globalizzazione, ma non ci hanno detto che alla fine i buoni morivano.

7 Chiudiamo su note più liete, tornando alla narrativa. Stai già lavorando a qualcosa di nuovo? Cosa deve aspettarsi il pubblico da Dario Levantino?

Il cassetto del comodino è pieno di cose. Quello della testa di più. È il secondo che ha potere sul primo. Deve decidersi di rileggere, correggere e fare clic sul tasto invio della mail.

 

Grazie a Dario Levantino per essere stato con noi.

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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