Intervista all’attrice Judy Hill

Insieme al regista italiano Roberto Minervini presenta "What you gonna do when the world’s on fire?"

Una scena del documentario "What you gonna do when the world’s on fire?"

Da qualche mese Judy Hill e Roberto Minervini viaggiano insieme, tra un festival e l’altro, per parlare del loro documentario, “What you gonna do when the world’s on fire?”.

Confesso che trovarmi Judy davanti, dopo aver visto il film, mi fa effetto. Avverto tutta la sua urgenza di parlare, la gentilezza con cui lo fa mi lascia disarmata e l’idea di intervistare una persona tanto vera, che è se stessa sia davanti a me che davanti alla macchina da presa, mi intimorisce persino un po’.

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Ma lei non fa caso alla mia agitazione, perché è pronta a tutto e non ha certo paura di qualche domanda sulla storia della sua vita.

Ci stringiamo la mano. Giusto il tempo di dare qualche informazione a Judy su di me e la testata per cui scrivo che l’intervista comincia. Questa volta mi scordo del mio taccuino e della mia penna, troppo presa ad ascoltare.

 

Innanzitutto, il tuo modo di raccontare la tua vita e la tua storia sono molto commoventi. Ora stai girando il mondo, prima a Venezia, adesso a Londra, condividendo questo film con spettatori di ogni dove e mi chiedevo quali sono le tue impressioni nel vedere così tante persone interessate alla tua vita?

Mi sento fortunata quando vedo che le persone capiscono cosa abbiamo passato e che cos’è la mia vita. Ho provato a dare quanta introspezione possibile su quella che è la mia vita e ho parlato dal cuore senza nemmeno pensare che fossi in un documentario o un film. Alcuni anni fa c’erano solo gli amici e la famiglia, non c’erano le telecamere, ma mi sento fortunata ad aver incontrato Roberto perché lui ha visto in me e nella mia comunità tutte quelle storie che avevamo bisogno di raccontare da molto tempo. Ci è bastato davvero che si sedesse ad ascoltare per condividerle con lui.

Una scena del documentario “What you gonna do when the world’s on fire?”

E a te, Judy, che impressione fa viaggiare con il film?

Mi sento di poter respirare, finalmente, perché prima mi sentivo morire. Per me è importante essere qui con il mio film perché le persone possano guardarlo e poi incontrarmi. Devono vedere che sono una persona reale, una persona che puoi incontrare e conoscere, che piange quando è ferita, che ride quando è felice e che canta quando si sente bene. Voglio che tutti vedano me e la mia comunità.

Immagino che per la tua comunità sia molto difficile essere ascoltata oggigiorno, soprattutto in America. Che cosa ti ha convinto a prendere parte a questo progetto e ad aprirti con Roberto?

È cominciato tutto da una conversazione tra amici con Roberto, senza telecamere. Roberto è quel tipo di persona che vede con il cuore, e mi sono sentita così bene nel parlare della mia storia con lui che quando mi sono accorta che quella conversazione poteva andare da qualche parte mi sono sentita ispirata, ho pensato di avere l’opportunità di aiutare qualcuno, da qualche parte nel mondo. Anche io da giovane ho avuto bisogno di una mano ma non l’ho avuta, per cui poterla dare io a qualcuno mi ha ispirato ad andare avanti nel progetto.

È stato difficile per te e per la tua comunità mettersi di fronte a una telecamera e parlare delle vostre vite?

È stato come cantare una canzone rap. Quando canti rap canti in freestyle e le parole escono quasi in modo naturale, soprattutto se hai qualcosa da dire e vuoi essere finalmente ascoltato. Nessuno mi ha dovuto convincere a parlare. Sono andata con Roberto in giro per il quartiere e ho iniziato a parlare con grande naturalezza, anche con ragazze che incontravo per strada e di cui prima non conoscevo la storia e, anzi, l’ho conosciuta facendo questo film. Il fatto è che sia io che loro avevamo bisogno di parlarne per cui tutto è uscito fuori naturalmente. Quando c’è il cuore, non hai bisogno di fare delle prove.

Una scena del documentario “What you gonna do when the world’s on fire?”

Ora che la tua storia è in giro per il mondo, quale impatto pensi che questo film possa avere sulla tua comunità? E le vostre storie sulle vite degli altri?

Ogni storia della nostra comunità ha alla base una canzone comune, e spero che questa canzone possa unire anche tutte le persone del mondo, ovunque esse si trovino. Spero che chiunque possa ascoltarci, soprattutto chi si trova in una situazione difficile, così da pensare: “Wow, ora abbiamo una voce perché Judy Hill ha raccontato la sua storia a qualcuno.” E chi non vive una situazione simile alla nostra spero che comunque ci ascolti, e pensi a cosa può fare per aiutarci.

Parli di una canzone che possa unire tutti e, in effetti, la musica sembra essere un aspetto molto importante nella tua vita e in quella della tua comunità. In che modo la musica vi definisce come comunità e che ruolo ha nelle vostre vite?

La musica ci aiuta tanto e siamo grati alla musica perché, anche se non abbiamo soldi, abbiamo sempre una canzone a cui aggrapparci. Quando il mondo brucia ed è in fiamme, uno può sempre cantare per sfuggire al pericolo. Canti e balli e piangi e questo ti porta un senso di pace. Puoi essere un senzatetto per strada ma puoi cantare per addormentarti. Puoi pregare e cantare. E chiunque ha una parte in questa canzone che chiamiamo vita, è una forma di connessione tra le persone.

Effettivamente mi vengono in mente tante canzoni di artisti afroamericani che creano questo senso di connessione tra chi le ascolta…

È come trovarsi su una scacchiera in cui tutti i pezzi sono connessi, non importa dove li muovi. La musica è uguale, attraverso i musicisti e le canzoni, ed è per questo che ho aperto il mio bar, perché ci sono musicisti che vogliono cantare ma non hanno l’opportunità di farlo e io li lascio cantare le loro canzoni e li pago con una birra. Creano un grande senso di connessione, sia nella comunità sia nella città.

Ripensando ora alla domanda del film – Cosa farai quando il mondo brucia? – quale pensi che sia la tua risposta?

Parla e canta e balla nella pioggia, questo è tutto ciò che devi fare!

Grazie mille Judy per il tuo tempo.

Grazie a te!

 

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Federica Gamberini
Bolognese di nascita, cittadina del mondo per scelta, rifugge la sedentarietà muovendosi tra l’Inghilterra (dove vive e studia da anni), la Cina, l’Italia e altre nazioni europee. Amante della lasagna bolognese, si oppone fermamente alla visione progressista che ne ha la signorina Lotti, che vorrebbe l’aggiunta della mozzarella. Appassionata di storie, nel tempo libero ama leggere, scrivere, guardare serie TV e film, e partecipare a quanti più eventi culturali possibile.

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