Intervista all’autore e divulgatore Gianluca Giusti

Gianluca Giusti, autoreChi ha detto che i misteri del mondo debbano restare tali, e che sia impossibile fugare almeno in parte quel velo di non detto e reticenza che avvolge alcuni argomenti – come la religione e il paranormale? Nel suo ultimo libro, “Qualcosa non torna”, Gianluca Giusti ha cercato di fare proprio questo: rispondere, con l’aiuto dell’indagine scientifica e della ragione, ad alcune domande scomode.

Nato come autore e divulgatore con “Oscuramente”, Giusti crede fermamente nel potere della scrittura e della riflessione. Conosciamo meglio l’autore, i suoi lavori, i suoi progetti, in questa intervista esclusiva per Parola a Colori.

 

Come nasce in te la passione per la scrittura?
Prima di tutto grazie 1000 per questa possibilità. Casualmente, con il mio esordio editoriale “OscuraMente”. Cercavo un libro che parlasse e possibilmente spiegasse questa cosa che si sente spesso dire, secondo la quale useremmo solo il 10% del nostro cervello. Ho fatto molte ricerche ma non ho trovato granché. Dal momento che ero curioso di conoscere perché un bel 90% del nostro cervello resti tranquillo a girarsi i pollici, dopo aver letto molto, ho deciso di scriverlo io.

Hai sempre saputo di voler fare “il saggista” oppure hai scoperto col tempo la passione per la divulgazione?
No, l’ho capito subito, perché la divulgazione è più nelle mie corde. Anche se riuscire a scrivere un romanzo deve essere una gran bella soddisfazione. Magari un giorno…

Parliamo adesso del tuo ultimo lavoro, “Qualcosa non torna”, un’opera coraggiosa e pungente a partire dal titolo…
È stata una bella sfida. Quando vai a toccare fili come quello della religione, del paranormale religioso e del paranormale in generale, il rischio di trovarli scoperti e di beccarsi una scossa ad alto voltaggio è altissimo. In molti hanno delle certezze quasi assolute su questi temi e quando vai a metterle in discussione, dimostrando perché andrebbero riviste, è facile trovare resistenze titaniche. Però è stato bello confrontarsi con i misteri del mondo. Poter mostrare e dimostrare cosa non torna di questi grandi temi al lettore è stato un percorso magistrale che mi ha preso totalmente dall’inizio alla fine.

Quanto tempo ci hai lavorato, prima di darlo alle stampe?
Come lettura e preparazione circa trent’anni, poi un anno per scriverlo.

Quanto credi che sia difficile, in un Paese come l’Italia, andare ad attaccare alcune convinzioni radicate – nel campo religioso ma anche nel paranormale? Le persone sono aperte, oppure prevale ancora un certo scetticismo verso le spiegazioni scientifiche?
Quello che sostengo da sempre e che faccio presente anche nelle mie presentazioni è che l’uomo tecnologico è portato drammaticamente a dare “per scontato”. Diamo per scontato che Gesù abbia detto o fatto determinate cose, che il Diavolo entri a suo piacimento nei nostri corpi, che alcuni santi si manifestino sui muri di qualche cantina, che gli Ufo siano in contatto con Obama, che siamo nati sotto un segno zodiacale e che questo segno si porti dietro determinate caratteristiche, e via discorrendo. Dando per scontato smetto di pensare, risparmio forse tempo ma perdo l’analisi. Il mio libro obbliga a pensare e a rivedere molti concetti dati per certi, obbliga il lettore a farsi qualche domanda in più, domande che magari non si era mai posto. Ma ogni domanda richiede una risposta ed è il lettore che deve farlo, io non posso, non ho l’autorità di rispondere per lui. È il lettore il vero protagonista di Qualcosa non torna, io mi limito solo a “scombinargli” un po’ i piani. In ogni caso la versione corretta è che sono coloro che si rifanno alla scienza che sono scettici verso le spiegazioni sovrannaturali ma, aldilà di questo, la resistenza deriva dal rischio di perdere dei punti di riferimento, siano essi religiosi, astrologici o legati a “certi” poteri ad oggi tutti da dimostrare.

Raccontaci adesso qualcosa della tua esperienza nel mondo editoriale. Com’è stato trovare un editore che ti pubblicasse? Hai ricevuto dei rifiuti prima del fatidico “sì”?
La mia esperienza è stata molto buona, sono entrato in un mondo nuovo, conoscendo persone davvero interessanti e imparando tante cose. La prima è che l’italiano è praticamente una lingua straniera, anche per i madrelingua! Scriviamo e parliamo senza renderci conto di quanto poco conosciamo l’arte della punteggiatura e la grammatica. Ho dovuto fare i conti con i miei limiti e la mia ignoranza, e reimparare molte cose che, guarda caso, davo per scontate. E invece… Però anche questo fa parte del divertimento e ogni novità è un modo per rinnovarsi e migliorarsi. Trovare un editore non è stato difficile. La fortuna ha voluto che, pur rivolgendomi alla piccola editoria, il progetto fosse abbastanza convincente e convergesse con gli intenti degli editori di diventare più grandi insieme. Certo i no ci sono stati, fanno parte anche loro della vita, basta però saperli prendere per il verso giusto perché renderanno più bello il sì successivo. Molte volte i no non dipendono nemmeno dal valore del libro, ma dalla linea editoriale. Per esempio, al salone del libro di Modena ho conosciuto un editore che mi ha detto di no e con il quale ho lo stesso un rapporto di bella cordialità. È venuto alla mia presentazione facendomi successivamente i complimenti e ogni tanto ci sentiamo. La cosa importante è il rispetto, sempre, anche quando certe decisioni ci sono contrarie.

Hai preso in considerazione anche il self publishing oppure hai sempre saputo che la strada giusta per te era una pubblicazione tradizionale?
Per ora no, ma non perché consideri il self publishing un modo di pubblicare inferiore, anzi, molte auto-pubblicazioni sono di altissimo livello. Il prof. Mastrolorenzi, ad esempio, che ha scritto la prefazione a “Qualcosa non torna” ha auto pubblicato un libro su Gioacchino Belli che tutte le scuole superiori dovrebbero adottare come testo di studio. Nel mio caso ho seguito la strada tradizionale e mi sono trovato bene, e, almeno per ora, intendo continuare.

Come valuti, da autore con diverse pubblicazioni all’attivo, la situazione editoriale italiana? C’è apertura verso i giovani e le nuove idee?
C’è eccome, quello che mancano sono i lettori, purtroppo. La situazione editoriale è tragica perché il nostro bel popolo di letterati ha smesso di leggere e questo non aiuta certo il settore. Un vero peccato, perché leggere è la forma di libertà più alta in assoluto e con il miglio rapporto qualità-prezzo. Persone come Monica Fava, Paola Tombini o Cinzia Tocci, per citare soltanto le mie editrici, hanno un entusiasmo incredibile che dei buoni risultati di vendita non possono che incrementare. Passione, voglia di fare e di crescere, però, non sono inesauribili. Nel mio piccolo spero di dare una mano a tutte loro perché questo grande entusiasmo non venga mai meno.

E se un giovane collega ti chiedesse un consiglio – o più di uno – quale sarebbe?
Che se crede nella sua idea vale la pena tentare, o per una strada o per l’altra. Oggi pubblicare un libro non è un’utopia. Se sceglie l’auto-pubblicazione ed è all’esordio, deve cercare un promoter che lo consigli su come promuoversi. Il successo di un libro non è legato soltanto alla scrittura, ma a come ci si muove per farlo conoscere. Il testo può anche essere straordinario, ma se poi nessuno lo legge o viene a sapere di quel tale capolavoro è tutto inutile. Quindi serve sapersi muovere e metter su un po’ di chiasso. Un buon promoter, l’uso intelligente dei social network e un sito internet personale ben fatto sono un buon inizio.

Ma insomma, secondo te nel 2015 di scrittura si può ancora vivere o è meglio avere un lavoro complementare?
Per quello che mi riguarda, io personalmente vivo del mio altro lavoro. Se qualcuno riesce a vivere di scrittura mi dica come fa che piacerebbe anche a me.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Due manoscritti già pronti per essere infornati.

E il tuo sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe riuscire a scrivere un romanzo. La vedo dura, ma chi lo sa? Ho cominciato a scrivere a 48 anni, magari a 96 pubblico il mio primo romanzo strappalacrime. E conquisto il mondo.


 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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