Intervista allo scrittore Fabio Brusa

Fabio Brusa è un giovane autore emergente del comasco. Dopo aver studiato giurisprudenza a Milano si è sistemato nel classico lavoro d’ufficio nell’azienda di famiglia. Oggi si è ritirato a vita privata, a seguito di una totalizzante tragedia personale, dedicandosi alla passione di sempre, la scrittura.

L’esordi nella narrativa è arrivato nel 2013 con il romanzo di fantascienza “HELOTS – La speranza del Firewalker”, a cui sono seguiti diversi racconti inseriti in raccolte di varie case editrici (Edizioni Scudo, Eterea Comics&Books, Il Ciliegio Edizioni). Alcuni dei racconti, Fabio Brusa li ha poi riproposti anche autonomamente in eBook.

Nel 2014 ha pubblicato il seguito della saga fantascientifica “HELOTS – Le nanomacchine”, e, con lo pseudonimo di Howard R. Veidt, “Giù nella tana” raccolta dei suoi racconti horror. “La verità prima” è il suo ultimo romanzo in ordine di tempo.

Conosciamo meglio l’autore, i suoi trascorsi, i suoi progetti, con questa intervista.

Fabio Brusa, autore

Ciao Fabio. Iniziamo parlando un po’ di te. Come ti descriveresti, usando solo poche parole?

Citazione: sono stato anche normale, in una vita precedente. Almeno esteriormente. Oggi quello che c’è dentro è sfuggito all’esterno, urlando e sbattendo le porte. Riesco a concentrarmi volontariamente su qualcosa per non più di dieci minuti, mentre idee che non ho cercato mi tormentano per giorni interi. Leggo, studio, lavoro, penso, rifletto, mi porto a spasso. Dimenticando la porta di casa aperta. Non sono sicuro di sapere dove sia finito. Davvero, non è una sensazione rassicurante.

Come nasce in te la passione per la scrittura?

Nasce con me. Forse la scrittura è il metodo espressivo che mi calza meglio, ma sono sempre stato un creativo. Una volta cercavo di esprimermi soprattutto attraverso la musica, poi ho imboccato la via tortuosa del racconto. Ho scritto prima per me stesso, poi a scopo ludico, infine per mettere da un’altra parte tutte le storie che mi affollavano la mente. Non solo storie, ma anche pensieri, paure, desideri, verità, menzogne, emozioni. Come si può fare, altrimenti, per non impazzire?

Hai sempre saputo di voler essere uno scrittore “da grande”? Fabio a 10 anni voleva diventare… ?

Paleontologo. Stare tra antichi mostri paurosi: cosa c’è di più bello per un me stesso di 10 anni? Poi ho scoperto che tutti quei miei amici a sangue freddo erano già schiattati da qualche annetto, così ho messo la testa a posto. Percorso scolastico serio, vita ben impostata, obiettivi pragmatici. La scrittura e la musica mi son rimaste al fianco comunque, perché sono sempre state una necessità. A quanto pare, però, il destino aveva altre idee. Terrificanti. Se la verità è che le cose possono andare solamente come effettivamente vanno, allora non ci possiamo fare niente. Che scrittore sia.

Nel 2013 hai esordito con il romanzo fantascientifico “Helots – La speranza di Firewalker”, che ha poi avuto anche un seguito nel 2014. Un genere, la fantascienza, estremamente complesso da scrivere. Come ti è venuta l’idea per questa storia?

Complesso e non sempre ben visto. Eppure avevo un’idea chiara in mente, l’esperienza maturata da una full-immersion nel mondo cyberpunk (quella contrada della fantascienza in cui ho ambientato alcuni dei miei lavori) e la voglia di creare davvero. Mi son finalmente deciso e il primo romanzo è nato. Ammetto che c’è voluta moltissima forza di volontà per portare a termine il progetto. Sembra un’impresa davvero titanica e, in buona parte, lo è davvero, perché tra l’avere in mente una storia e spaccarsi mente, dita e occhi per creare un libro che ne parla ce ne passa. Come esordio ha funzionato: schiavi, ambienti tossici, avventura e tecnologia. Sì, mi ha insegnato a seguire davvero questa strada. Fantascientifico, il pensiero di diventare scrittori. Non è proprio la fantascienza, però, l’unico genere che fa vere premonizioni sul futuro?

E quanto lavoro di preparazione e studio c’è, dietro un romanzo di questo tipo?

Diciamo di più. Qualsiasi cosa il profano, il lettore o l’aspirante scrittore immagina, la risposta è: di più. Non si tratta di un flusso di parole, di sputare sulla carta i pensieri che girano liberi nella mente. Grandissima parte del lavoro risiede nella costruzione delle frasi, nella grammatica, nella sceneggiatura astratta delle vicende e della sua messa in pratica. In ore, giorni, settimane di revisioni. Ho avuto il piacere di parlare, recensire, anche dare consigli ad aspiranti scrittori che non avevano idea di quello in cui stavano per imbarcarsi. Sono sicuro che di essere sembrato uno… be’, un senza cuore. Giuro che ho usato tutto il tatto possibile. Non ha importanza per me che tu sia un artista di fama mondiale o un cantastorie per circoli ristretti: o si fa il lavoro al meglio delle proprie capacità o è meglio lasciar perdere. Alla fine vince chi incassa e non molla, senza la pretesa di essere perfetto al primo tentativo.

“La verità prima”, invece, è il tuo ultimo lavoro in ordine di tempo. Ci vuoi raccontare qualcosa di più della storia?

Sembra un caso che di questi tempi sia scoppiata (di nuovo) la bolla dell’astio per motivi religiosi. Ecco, il mio romanzo parla anche di questo: di come la verità, data o supposta, il più delle volte non sia né vera né falsa. Chiedo ai miei personaggi se hanno mai letto la Bibbia, se hanno mai davvero riflettuto su quel che c’è scritto dentro. Poi consegno loro un nuovo Vangelo, scritto da Giuda Iscariota, il solo testo idealmente contemporaneo al Messia. Riflettiamo: se immaginiamo che le parole dell’Antico e del Nuovo Testamento siano letterali, e non allegoriche, cosa ne salta fuori? Che importanza ha conoscere la verità sulla vita, quando la verità che viene prima è che viviamo per i nostri amori? Sì, l’ultima frase è volutamente criptica. Per capire di cosa parlo bisogna leggere il libro.

La verità prima, Fabio Brusa

Non solo romanzi, per Fabio Brusa, ma anche una bella produzione di racconti. Non tutti gli autori si sentono a proprio agio, con questa forma di scrittura breve e concisa. Tu sì?

Mi trovo stupendamente a mio agio fra i racconti. Sono una forma di scrittura molto diversa dal romanzo, e concordo che necessitino di una particolare attitudine. Sono due forme artistiche ben diverse: il romanzo assomiglia più alla scultura, il racconto più alla musica. Le due arti sono in contrasto: una è stabile eternità, l’altra è un’esplosione. E qui, quasi faccio una seconda citazione.

Tecnicamente parlando, quanto è diverso scrivere un racconto rispetto a scrivere un romanzo? Certo serve meno tempo. Ma trovare la quadratura giusta, far funzionare la storia avendo meno spazio a disposizione è più o meno complesso?

Sono complessità diverse, su scale diverse, difficilmente comparabili. Si tratta di un argomento articolato e difficile da trattare sinteticamente. Forse funziona meglio parlando per immagini: la grande costruzione architettonica del romanzo richiede certamente più tempo, ma ha il vantaggio di lasciarti tutto lo spazio necessario per allargarti, curare questo o quel particolare, esprimere ciò che avevi in mente e trascinare il visitatore/lettore a scoprire cosa volevi mostrare con questa costruzione. Con il racconto, hai un solo colpo in canna. Meno fronzoli e meno necessità di progettare qualcosa di enorme, ma non scatena un’emozione disarmante (e va fatto con poche frasi ben centrate), semplicemente ha fallito.

Nei due anni di attività ufficiale, hai già sperimentato la pubblicazione tradizionale, con casa editrice e quella in self. Quali credi che siano pregi e difetti di ciascuna delle due? Avere un editore alle spalle è ancora una garanzia di successo?

Ho fatto il passaggio al contrario rispetto a come ci si potrebbe aspettare. Ho iniziato con una casa editrice, ora lavoro da solo. Per i motivi posso essere molto schietto: una piccola casa editrice non può fare nulla che un autore, con una certa determinazione, non possa fare da solo. Con questo non intendo denigrare il lavoro della casa che ha pubblicato “HELOTS”, anzi, sono loro riconoscente sia professionalmente che umanamente. Ho apprezzato il loro impegno in ogni modo possibile. Ma oggi, con le possibilità offerte dal self publishing, si può preparare (leggasi editare, impaginare, stampare) e diffondere la propria opera molto bene. E a prezzi inferiori di quelli di un piccolo editore. Certo, Feltrinelli, Rizzoli, Mondadori, loro sì farebbero la differenza. Più per la pubblicità, il marketing e la diffusione dell’opera, perché ci sono testi di autori self che qualitativamente non hanno nulla da invidiare a molti nomi famosi sul libro paga di questi editori.

Oltre a sperimentare forme e generi diversi, dalla fantascienza all’horror, dal romanzo al racconto, hai anche edito un’antologia usando uno pseudonimo – quando si dice una carriera agli inizi ma già multiforme. Perché la scelta di usare un nom de plume per “Giù nella tana”?

Perché fa parte dello spettacolo. Si tratta di un espediente letterario: il professor Howard R. Veidt, pseudonimo che uso per i racconti horror, dunque anche per la raccolta “Giù nella tana”, è anche il protagonista di alcuni dei racconti. E l’uomo che ha viaggiato per il mondo per recuperare le vicende inquietanti meno note, per poterle portare davanti agli occhi del lettore ignaro. Quel lettore che crede che nella tranquillità della sua casa possa ancora ritenersi al sicuro. Quel lettore convinto che non ci sia nulla, nascosto dal velo della notte. Ingenui.

Dalle note biografiche che conosciamo di te ti immaginiamo come un vulcano di idee, sempre in fermento. Ci sembra quasi ridondante, quindi, chiederti se stai già lavorando a qualcosa di nuovo?

Ovvio che sì. Lavoro sempre più insistentemente, sempre più assiduamente. Continuando a sperimentare e ad alimentare ciò che già funziona. Ho un’idea fissa: per quanto strano, per quanto diverso, ogni mio lavoro appartiene allo stesso mondo. Nel passato, nel futuro, nel presente, d’avventura o di paura, riflessivo o sentimentale, ogni lavoro è una delle sfaccettature del mio mondo. Tutto si integra, tutto si compenetra. Un faticosissimo romanzo, in particolare, ho continuamente sotto mano. Quello che sarà pietra angolare di tutta la costruzione a cui ho iniziato a dare vita. Che spero non mi caschi sulla testa.


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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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