Intervista allo scrittore Francesco Di Paolo

di Ilaria Grasso

 

Francesco Di Paolo è nato ad Atri e vive a Sambuceto, una frazione del comune di San Giovanni Teatino. Laureatosi con il massimo dei voti in Conservazione dei bei culturali all’università di Chieti, ha svolto diversi scavi archeologici in Italia e all’estero.

Appassionato di storia dell’arte e cultura umanistica, oltre che di dark fantasy e fantasy storico, affianca alla scrittura il disegno manuale e la web grafica. Nelle sue opere si nota una “commistione cervellotica” di tutte le sue passioni, con lo scritto che spesso si accompagna a immagini e illustrazioni realizzate da lui.

Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo, “Nel nome dei Grimm” (Alcheringa Edizioni).

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con l’autore, per parlare del suo primo romanzo, dei suoi progetti futuri e di molto altro ancora.

Lo scrittore Francesco Di Paolo.

Ciao Francesco, grazie per aver accettato questa intervista per Parole a Colori.

Ciao Ilaria, grazie a te e alla redazione per questa opportunità.

Iniziamo parlando del tuo libro d’esordio, “Nel nome dei Grimm”, un romanzo fantasy che presenta anche elementi epici. È vero che è nato di getto?

“Nel nome dei Grimm” è nato da un sogno travagliato, uno di quelli da cui ti svegli agitato senza capire perché. In quel sogno rivivevo una storia che avevo letto su un libro: ero me stesso e facevo parte dei personaggi. Visto che il 90% dei testi che leggo è ambientato nel Medioevo, sarò stato di sicuro un servo della gleba. Quando mi sono alzato dal letto mi sono chiesto: “Come sarebbe rielaborare racconti già noti con l’inserimento di un protagonista in più? Si può fare? Non si può fare?”. E ho deciso di provare.

Il viaggio di Adam, il protagonista, è guidata nella prima parte del libro, tripartito, da Fato. Più che una scelta casuale io ci ho letto una metafora della nostra vita. Mi sono avvicinata al tuo intento narrativo?

Hai colto nel segno. Nel libro compare spesso un dogma: il caso non esiste. Questo è un elemento ricorrente nei miei lavori. Io credo nella predestinazione, come Senofane, Calvino e Karl Barth. Non è solo un concetto filosofico o teologico, ma anche scientifico. Il terzo principio della dinamica di Newton non lascia dubbi d’interpretazione: “A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Certo è sempre una questione di punti di vista. Fato è una metafora, la personificazione metafisica di un concetto. Questo è uno degli elementi caratterizzanti del genere fantasy, insieme a simbolismo e allegoria.

Adam, che ricorda non solo nel nome il primo uomo, si ritrova nudo e spoglio davanti alla fragilità della sua forza, l’immortalità. Come intendi l’immortalità?

Per me l’immortalità è uno stato mentale. L’uomo, da che mondo è mondo, ha sempre inseguito ciò che non poteva raggiungere. Ha sperato, sognato, pregato e persino ucciso pur di coronare i propri obiettivi, mosso dall’ambizione. Al contrario dell’ambizione, magari inconscia, di molti, ovvero quella di non essere dimenticati e quindi vivere in eterno, quella di Adam è avere una vita normale, sposarsi, avere dei figli, invecchiare. Fa parte della natura umana desiderare ciò che manca e al contempo disprezzare ciò che si ha. Non possiamo farci niente. La riflessione legata al valore dell’immortalità è la chiave di volta di “Nel nome dei Grimm”. Se sia croce o delizia spetta al lettore dirlo. Credo che la mia opinione a riguardo trapeli nel finale del libro, quindi no, non ve lo dico, preferisco glissare. Non vedo, non sento, non parlo – sono un perfetto politico mancato.

“Mi avvolse una sensazione tentacolare di malinconia”, fai dire, a un certo punto, ad Adam. La malinconia può essere una musa per chi scrive, e quanto lo è per te?

Victor Hugo diceva che la malinconia è la gioia d’essere tristi. Chi sono io per contraddire il maestro? Adam incarna in sé ciò che vorrei essere e ciò che disprezzo, tutto insieme. Spesso parla in mia vece, altre volte è, come dire, un vero stronzo. Il suo lato malinconico mi appartiene. Ho un’anima tendenzialmente gotica, in parte neoclassica, che si divide a metà fra orrore e romanticismo. La malinconia non è solo una musa per me, ma anche il fulcro vitale della mia linfa creativa. È sangue dentro le vene, rosso su bianco, morte nel sogno.

Il Fato guida Adam verso la realizzazione del lieto fine di alcune tra le più note fiabe dei Grimm, rivisitate in chiave horror fantasy e attualizzate, adattandole alla realtà talvolta squallida dei nostri giorni. Perché questa scelta narrativa?

Io credo che mescolare il vecchio col nuovo sia il segreto di una miscela vincente. Il passato è nostro padre, il presente siamo noi, il futuro sono i nostri figli. Il legame del sangue ci unisce e dà vita alla famiglia. Cosa c’è di più bello della famiglia? Nella scrittura vale il medesimo concetto: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

Parliamo del mito di Gilgamesh, su cui è incentrata l’ultima parte del libro, e che deve averti richiesto un bel lavoro di ricerca…

Assolutamente sì. La ricerca preliminare e la raccolta dei dati sono fra le fasi più edificanti del lavoro di scrittore. Quando si tira in ballo un argomento, bisogna padroneggiarlo a tal punto da renderlo proprio. È tassativo leggere, studiare, cercare, sfogliare, discutere, avere fame di conoscenza fino a scoppiare. Prima di scrivere “Nel nome dei Grimm” conoscevo l’Epopea di Gilgamesh solo a grandi linee. Il giorno che ho comprato il libro ero così elettrizzato che mettevo a disagio la gente. Il libraio era talmente intimorito che mi ha fatto lo sconto, il che è tutto dire.

Possiamo dire senza paura di sbagliare che questo libro è veramente tuo, in ogni suo aspetto. Hai curato anche i disegni che accompagnano la scrittura vero?

Direi proprio di sì. Io credo che leggere sia un passatempo meraviglioso, solo per gente sveglia. Di conseguenza, se c’è la possibilità di aggiungere al testo anche una parte illustrata, perché non farlo? Le immagini danno al lettore la possibilità di immergersi nella storia a 360°. Se sono fatte bene lasciano il segno. Dedico molto tempo alle illustrazioni perché so che in tal modo rendo tutto il lavoro più coinvolgente. Nonostante la fatica, è un sacrificio che vale la pena. Il risultato finale è tutto per me. Non ce ne sono molti di scrittori-disegnatori e io amo fare il diverso.

Una delle illustrazioni di Francesco Di Paolo.

Sappiamo che c’è un altro, ambizioso, progetto a cui stai lavorando. Puoi darci qualche anticipazione in merito?

Volentieri. Il nuovo romanzo che sto scrivendo è un fantasy distopico. È un progetto molto ambizioso, in più volumi, ovviamente illustrato. Un’opera diversa da “Nel nome dei Grimm”, scritta secondo un registro stilistico più adatto a un pubblico ampio. Vi dico solo che per realizzarla al meglio, ma soprattutto per non perdere il filo, ho dovuto creare una mappa, un calendario (con una sua compitazione del tempo), un codice di condotta per i personaggi e un albo delle case e dei mestieri. Si sa, il diavolo è nei dettagli e non si può mai dare nulla per scontato. Al momento sono al 65° capitolo e prevedo di finire la prima stesura entro il 2017.

Parliamo un attimo di Social Network. Quanto sono importanti secondo te per far conoscere un’opera, soprattutto se l’autore si pubblica da solo?

Sono fondamentali. Pensate che ho fatto un corso apposito per imparare a utilizzarli al meglio. Quando si pubblica un libro, la parte più difficile è la promozione, passare dal “Di Paolo chi?” al “Chi, Di Paolo?”. Se uno pensa che la casa editrice, a prescindere da quale sia, sbrighi da sola il lavoro di marketing si commette un grave errore. È vero che più è piccolo è l’editore più bisogna attrezzarsi. Si tratta di una lotta con miliardi di altri competitor, una lotta dove solo i più caparbi la spuntano. Si devono intessere rapporti di collaborazione con librerie, giornalisti, blogger, siti di recensioni, opinion leader e altri autori. Si devono organizzare presentazioni, partecipare a concorsi letterari (e anche vincerli, possibilmente), attrezzarsi coi media, smanettare con internet, eccetera, eccetera. Essere uno scrittore, diffidate da chi vi dice il contrario, è un po’ come andare su una bici di fuoco, con una borraccia di brace, su un sentiero di magma sperduto fra le lande dell’Inferno: si deve imparare a diventare atermici, immuni ai bocconi amari. Per mia fortuna, fra le varie cose, sono un grande appassionato di web grafica e ho buone conoscenze nel campo dell’html. Photoshop è una sorta di propagazione del mio braccio. Mi piace creare slogan, sketch, campagne pubblicitarie e così via. I social sono un ottimo mezzo per farsi conoscere, poiché ci mettono in comunicazione con un pubblico potenzialmente sterminato.

Francesco, grazie per questa bella chiacchierata. Prima di salutarci, vuoi dire ancora qualcosa ai nostri lettori?

Per me è stato un onore, dico davvero. Cosa posso aggiungere… una cosa ci sarebbe. Mi preme informare gli amici lettori che “Nel nome dei Grimm” è stato pubblicato con uno scopo ben preciso. Tutti i ricavati dei diritti d’autore provenienti dalla vendita dell’e-book saranno devoluti alla Fondazione Veronesi per la lotta contro il cancro. Ergo, se questo autunno vi va di leggere un libro sui generis e di fare al contempo una buona azione, sapete cosa acquistare. E questo è tutto gente. Leggete, create, sognate, e non arrendetevi mai!

 

Potete trovare Francesco Di Paolo online, sul suo sito internet personale, e sui principali Social Newtork, Facebook, Twitter, Google+, Pinterest e Goodreads.





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