Intervista con il cast di “Synonyms”, film Orso d’Oro alla Berlinale 2019

Tom Mercier, Quentin Dolmaire e Louise Chevillotte raccontano i rispettivi personaggi e il loro legame

Questa Berlinale che si è appena conclusa è stata speciale per Parole a Colori, perché in qualità di inviata ho avuto l’ardire e il piacere di intervistare i protagonisti del film vincitore dell’Orso d’Oro, “Synonyms” di Nadav Lapid.

Ho incontrato Tom Mercier, Quentin Dolmaire e Louise Chevillotte quando ancora non avevano idea che il loro film avrebbe trionfato. E insieme abbiamo analizzato i rispettivi personaggi e le complesse dinamiche che li uniscono.

 

È un piacere fare la vostra conoscenza. Ho guardato “Synonyms” ieri, e devo dire che l’ho trovato molto singolare, a tratti bizzarro. A voi che effetto ha fatto vederlo? Era così che immaginavate il risultato finale?

Quentin: Quando ho letto la sceneggiatura ho capito già che non assomigliava a nessun altro film, quindi non sapevo proprio cosa aspettarmi come risultato finale.

Tom: Credo che quando troviamo strano qualcosa, vuol dire che non riusciamo a capire cosa proviamo di fronte a questo qualcosa, che ci è difficile comprendere la situazione, il personaggio e le sue scelte. Personalmente quando ho visto il film la prima volta ne sono rimasto scioccato. Ne comprendo la bellezza, i tratti politici, radicali… Ma io ne ho fatto parte, per cui non ne sono abbastanza distaccato da poter esprimere un giudizio oggettivo.

Tom Mercier, Quentin Dolmaire e Louise Chevillotte in una scena del film.

Tra l’altro è il tuo primo film, Tom. Come è stato rivederti sul grande schermo?

Tom: Sì, il primo. È stata una bella sensazione, credo…

Non fa paura?

Tom: Sì e no.

Per voi, Louise e Quentin, non è l’esordio assoluto. Ma come è stato guardarsi?

Louise: Per me è il secondo film, quindi è ancora l’inizio.

Quentin: Bella domanda! Per me è il quarto-quinto, ma non è facile rivedersi sullo schermo, no. Quello che mi piace molto di “Synonyms” è che vediamo tanto i personaggi e molto poco gli attori, ed è così che dovrebbe essere ed è infatti uno dei motivi per cui faccio questo mestiere. La verità del personaggio prevale su quella dell’attore, che sono di solito molto diversi.

A proposito dei vostri personaggi, sviluppano un legame particolare, una sorta di ménage à trois ma piuttosto atipico. Ma come comincia?

Tom: Il loro rapporto comincia dall’amore per le parole che lega Emile e Yoav, la passione per le storie e per la letteratura. Prima arriva il mondo delle parole e poi il cinema, perché Yoav scopre il cinema grazie a Emile e sente che può diventare magari un regista e rappresentare le sue storie.

Quentin Dolmaire in conferenza stampa alla Berlinale.

Ma ci riesce? Il finale è quasi tragico, perché lasciamo Yoav sconfitto e disperato a prendere a spallate una porta, e sembra che niente sia cambiato in lui. Scappare lontano non serve se i tuoi demoni sono dentro di te.

Louise: Dici che non è cambiato? Io credo che sia stato trasformato, ma il finale è interessante perché è paragonabile a un organo trapiantato che viene rigettato dal corpo. Yoav ha cercato di essere assimilato dalla Francia ma si sente rigettato come un organo mal funzionante.

Quentin: Io sono d’accordo con te, vedo anch’io l’eroe tragico e la sua impossibilità di cambiare davvero.

Louise: Forse non cambia, però capisce che non sarà la Francia a guarirlo.

Capisce che deve guarirsi da solo? Nei film israeliani è molto spesso presente l’elemento dell’esercito, quel trauma della leva obbligatoria che ognuno deve subire. Secondo voi lo ha subito anche Yoav?

Tom: Yoav si sentiva bene nell’esercito, era stato anche premiato con delle medaglie, diceva infatti di aver atteso che scoppiasse la guerra per andare a combattere ma non era successo. Non c’è stato il trauma della vita militare per lui. È stato dopo che in lui è scattato il bisogno di cambiare, ed è questo che lo rende così interessante, perché non sappiamo cos’è che lo spinge a voler evadere. Personalmente posso dirti che mentre lo interpretavo ho realizzato che, nonostante andasse tutto bene nella mia vita, non riuscivo a comprenderla pienamente. Forse porre una certa distanza aiuta davvero a guardarsi e a capirsi in modo più chiaro. I suoi colpi disperati sulla porta rappresentano la volontà di un nuovo inizio, ma la scena finisce prima che noi possiamo vedere se riesce ad aprire la sua nuova strada: è questa la bellezza del cinema, ci lascia liberi di immaginare il seguito.

Yoav parla di Israele con odio e disprezzo, utilizzando una grande quantità di aggettivi negativi. Perché?

Tom: Non credo che lo odi davvero. Lo detesta perché non capisce per quale motivo deve essere una macchina che obbedisce al sistema. Non capisce come abbia potuto eccellere in qualcosa che non aveva voglia di fare, cioè il soldato, e si chiede come potrebbe costruire la sua vita in un Paese che lo ha privato della libertà di scegliere. Forse è questo il suo trauma.

E crede che cambiando Paese potrà ritrovare la libertà di scelta?

Tom: Non tanto cambiando Paese, quanto cambiando lingua. Lui crede che grazie alla ricchezza lessicale della lingua francese riuscirà a ripulirsi… L’ebraico moderno è molto più limitato lessicalmente.

Louise: Un giornalista israeliano mi ha detto che è costretto a ripetere lo stesso aggettivo più volte nei suoi articoli, al massimo trova un sinonimo. Perciò quando scrive in francese si diverte un sacco! Ma tornando a noi, da osservatrice esterna a me sembra che Israele sia un Paese che esige tanto dai suoi cittadini, molto più della Francia o dell’Italia. E forse quando l’individuo si rende conto di star facendo, anche se con successo, qualcosa richiesto dallo stato ma non scelto da lui, potrebbe sentirlo come una violenza subita. È simile a quando intraprendiamo la carriera voluta per noi dai nostri genitori, può andare bene per un po’ ma a un certo punto può arrivare la crisi, la voglia di ribellarsi e di scappare da quella strada imposta.

Quentin: Nella fuga di Yoav in Francia io vedo anche una ricerca di nobiltà, una questione estetica che pervade tutto il film: le origini e la voglia di cambiamento… E questo ci riporta a vedere Yoav come un eroe tragico.

Louise: Lui stesso si identifica con Ettore di Troia, il forte guerriero che davanti al duello con Achille ha però paura e scappa, e fa il giro delle mura di Troia nove volte prima di affrontare il suo destino. Trovo interessantissimo che Yoav si identifichi con Ettore, mentre credo che Israele coltivi il mito di Achille, dell’eroe invincibile che tutto può.

Ettore ha paura perché è umano, mentre Achille è un semidio quindi vive in modo differente la mortalità. In fondo Yoav si identifica con l’umano.

Louise: Sì, ma Yaron, l’altro israeliano che Yoav incontra a Parigi, così combattivo e impetuoso, lo vedo dal lato di Achille: sicuro dell’indistruttibilità del soldato.

Concentriamoci ora sugli altri due personaggi, Emile e Caroline: due giovani alto borghesi che passano le giornate nella noia della loro ricchezza, in attesa che succeda qualcosa. Nella mia interpretazione, quando incontrano Yoav si sentono finalmente utili perché possono aiutare qualcuno in difficoltà, e da questo nasce il loro attaccamento al giovane straniero. Voi cosa ne pensate?

Louise: È gratificante essere la guida di qualcuno in difficoltà, e penso che questo si applichi soprattutto a Emile, che vede in lui il formidabile eroe di un romanzo, che fugge da una terra lontana e parla francese in modo strano. Ne è affascinato e si tuffa in questo ruolo di guida. Per Caroline è diverso, anche se sente da subito un legame speciale. C’è la perversione di quando si ama, il lato paradossale dell’amore, la delusione atroce di una storia impossibile, e anche il divertimento perché Yoav li diverte: è brillante e folle, un essere fantastico che arriva nella loro vita ordinaria.

Sembra quasi che Yoav sia per loro solo un divertissement, un intrattenimento.

Louise: No, penso che i sentimenti siano sinceri.

Quentin: Io la vedo in modo molto più semplice, è una storia d’amore. Emile non riesce a scrivere il suo romanzo forse anche perché non può dedicarsi pienamente alla scrittura dovendo occuparsi anche dell’industria paterna. E vuole scrivere per creare qualcosa di straordinario, di qui il carattere estetico del film, ma adesso non ne ha più bisogno dato che ha vissuto qualcosa di straordinario con l’arrivo di Yoav. La soddisfazione di essere una guida può esserci, ma secondo me è secondaria all’amore che motiva e lega questi personaggi.

Louise Chevillotte sul red carpet della Berlinale.

E questo amore, in effetti, traspare dalle inquadrature, che trasudano sensualità anche quando non succede niente. Siete riusciti a creare una armonia particolare.

Louise: Vorrei dire ancora una cosa sull’amore. Poco fa parlavamo dell’odio del protagonista verso Israele. Credo che ci sia sempre un legame tra odio e amore, e che questo film sia una dichiarazione d’amore al cinema francese. Vedo tanti omaggi involontari al cinema degli anni Sessanta, all’amore per la lingua…

Tom: Sì, degli omaggi per ringraziare il cinema e gli artisti della Nouvelle Vague.

Louise: Questo amore a tre teste così fuori dal comune… Uno è immediatamente affascinato dallo straniero, l’altra rifiuta questo amore ma poi cede, perché comprende la vera natura di Yoav. Emile e Yoav hanno le parole, Caroline e Yoav no.

Quentin: È vero, c’è un aspetto molto più concreto nell’amore tra voi due, mentre tra noi due è più astratto, non si sa a cosa porterà.

Louise Chevillotte e Tom Mercier alla Berlinale.

E tra Caroline e Emile, invece? Non vediamo la loro relazione prima dell’arrivo di Yoav, che ha scombussolato la coppia, e non sappiamo cosa ne sarà dopo la sua partenza.

Louise: Secondo me si sono ritrovati proprio grazie a Yoav, il loro amore si rinforza con ogni passo che fanno verso Yoav perché è anche un passo che fanno l’una verso l’altro.

E questo crea una gelosia a tutto tondo. Tutti sono gelosi di tutti, no?

Tom: Sì, è un po’ come in Checkov, ognuno ama qualcuno che ama qualcun altro…

Quentin: Questa è la tragedia!

Tom: Ognuno ha qualcosa che tu non hai e devi restare nella relazione per afferrare queste fantasie… che forse esistono, chissà.

Grazie a Tom Mercier, Quentin Dolmaire e Louise Chevillotte.

 

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