Intervista a Concesion Gioviale: “Le difficoltà mi hanno resa più forte”

Concesion Gioviale è nata a Roma e ha coltivato la passione per la scrittura sin da ragazzina. Vincitrice di un concorso letterario, ha dovuto fare i conti con le difficoltà di inserirsi nel mondo dell’editoria italiana. La proposta di una pubblicazione a pagamento le ha sbarrato la strada, ma non l’ha fermata; l’incontro con la band capitolina Biancostile l’ha portata a riprendere in mano il suo sogno.

Il suo primo romanzo, “Prendi e vai”, è uscito nel gennaio 2012 per Sovera edizioni. È poi entrata a far parte del team Nuovi autori nel cuore di Roma, una manifestazione gratuita che promuove artisti emergenti, in veste di addetto ufficio stampa, e dello staff di Anime di Carta, associazione culturale che si occupa di promuovere l’arte a 360°.  Il 22 settembre è uscito il suo secondo romanzo, sequel di Prendi e vai, “Stazione d’arrivo”, per David and Matthaus Edizioni.

Conosciamo meglio questa scrittrice che è stata capace di non arrendersi nonostante le difficoltà, e che dichiara di avere come obiettivo la valorizzazione della cultura emergente italiana.

 

Ciao Concesion, è un piacere intervistarti e parlare della tua storia. Come nasce in te la passione per la scrittura?
Molto spontaneamente. Il primo ricordo che ho è il diario di Lupo Alberto che mi regalò mia nonna per il compleanno, lì appuntavo tutto. Quando frequentavo la quinta elementare, la maestra ci assegnò un compito di italiano nel quale dovevamo inventare una storia e quella fu la prima volta che scrissi un racconto, ispirato a un noto anime giapponese. Poi, al liceo, avevo un quaderno condiviso con Emanuela, una delle mie più care amiche. Sempre al liceo, ho incontrato un ragazzino che mi ha insegnato a sorridere davanti a ogni cosa; quando ci siamo separati, ho iniziato a scrivere un diario “segreto” intestato a lui. Ho circa tre quaderni con appunti, poesie e pensieri. Penso di esserci nata, con questa passione, e negli anni si è semplicemente sviluppata venendo fuori del tutto. È la mia migliore amica, scrivo ovunque, che sia in metro mentre vado a lavoro o quando sono in un locale e osservo una precisa situazione, scrivo di notte.

La tua storia di scrittrice è davvero particolare – fatta di delusioni, impegno e successi conquistati con tanta forza di volontà. Ti va di raccontare qualcosa al nostro pubblico?
Il mondo della letteratura è cambiato negli anni e, mi secca ammetterlo, invece di essersi evoluto come tutti pensano, è un po’ regredito. Ho sempre tenuto il mio sogno nel cassetto, un po’ per timidezza, un po’ per scarsa autostima e un po’ perché di autori emergenti ormai ce ne sono tantissimi e veramente pochi fortunati riescono a farcela e io mi considero tra quei fortunati, anche se sono meno nota di altri. Le delusioni ci sono state: ho partecipato a molti concorsi ottenendo poche risposte; e questo mondo è ricco di competizione, di mercanti di sogni e di imprenditori pronti a speculare sui sogni altrui. Ho avuto molti problemi in famiglia e personali e questo mi ha indotta a tenere la scrittura per me, ma poi un fortunato incontro con una band mi ha aperto gli occhi e ho capito che anche loro portavano avanti il loro sogno con coraggio, costanza, impegno e che erano persone come me, con problemi economici, di famiglia, di salute e sentimentali. Nonostante ciò non rinnegavano la loro passione, e in quel momento mi sono chiesta: perché loro sì e io no? Così, quasi per scherzo, ho iniziato a scrivere una storia su Facebook. La band ne è stata entusiasta e i miei amici, ma quel che più mi ha sorpreso è stata la reazione di persone che non sapevano niente di me, ma che erano molto interessate alla conclusione della storia. “Prendi e vai” è nato così, e presto uscirà la seconda edizione. Di successi, che agli occhi dei grandi del settore posso sembrare sciocchezze, ne ho avuti anche tanti; forse uno dei più grandi è stato quello di sentirmi dire da chi aveva letto il libro che, grazie a questo, aveva ripreso la sua passione tra le mani e che la stava portando avanti. Questo è stato il successo più grande, oltre a trovare un editore partner della Mondadori, che dopo un anno di “corteggiamento” ha rischiato tutto e mi ha fatto un contratto di cinque anni, investendo il suo denaro su di me.

Alle spalle hai anche la partecipazione a un concorso letterario, con tanto di vittoria e di proposta di contratto editoriale a pagamento, proposta a cui hai detto no. Una scelta coraggiosa. Che consigli ti senti di dare ai tantissimi autori emergenti che vivono esperienze come la tua? Perché una pubblicazione a pagamento, secondo te, non è la strada giusta per arrivare al pubblico?
È stata una scelta molto difficile, il mio desiderio di pubblicare un libro era talmente grande che a costo di vederlo sugli scaffali di una libreria avrei fatto qualsiasi cosa e questo è un gravissimo errore che le persone che come me hanno molto entusiasmo rischiano di correre. Ho rifiutato perché non avevo i soldi, non me lo potevo permettere, ma non solo. Ho rifiutato perché in “Piccole donne” della Alcott, Jo realizzava il suo sogno a piccoli passi, ma a ogni pubblicazione non era lei a pagare l’editore, ma lui a riconoscere il suo lavoro. Mi sono ispirata a questa storia, e ho voluto credere che qualcuno avrebbe prima o poi riconosciuto il mio valore. Ci sono voluti anni, ma alla fine ho raggiunto il mio traguardo. Quando si ha entusiasmo si commettono moltissimi errori. Pubblicare a pagamento non è una buona cosa in quanto, ormai, le case editrici che lo fanno pubblicano qualsiasi cosa e non fanno nemmeno troppa attenzione a come mandano in stampa i manoscritti; quindi una doppia delusione, sia per chi scrive, ma soprattutto per chi legge e investe i proprio risparmi per ritrovarsi all’interno di una bella storia. Perché ogni libro è sì un’avventura diversa, ma se è scritto male il messaggio che vogliamo inviare non arriverà mai. Inoltre se si vuole avere successo pubblicando a pagamento, si otterrà esattamente il contrario, troveremo porte chiuse da giornali, televisioni e radio che ti risponderanno che non fanno pubblicità a chi paga per pubblicare e così la nostra “carriera” da scrittori morirà sul nascere. Io consiglio di continuare a scrivere, di migliorarsi, di far leggere i propri manoscritti ai propri amici, ma anche agli amici degli amici che diano un parere imparziale e che possa aiutarci a crescere nel nostro viaggio, di insistere con gli editori e di pazientare. A volte ci vuole un anno, altre un po’ di più, per me ce ne sono voluti quasi trentatré, ma alla fine ci sono riuscita. E consiglio, inoltre, comunque vada, di non smettere mai di scrivere, di farlo soprattutto per se stessi e poi per chi ci circonda.

Per pubblicare il tuo primo romanzo, “Prendi e vai”, hai contattato la bellezza di 15 editori diversi. Come valuti, in generale, la situazione editoriale italiana? C’è apertura verso i giovani e le nuove idee?
Per la prima pubblicazione mi sono affidata a chi distribuiva più copie e soprattutto a chi lo faceva in libreria, ma non sempre questa è la scelta giusta. La pubblicazione di un romanzo è un lavoro di squadra, a partire da chi decide di pubblicartelo, fino ad arrivare a chi si occupa del marketing. Quindi consiglio di valutare tutti i punti che caratterizzano un editore, non solo quello più forte, ma anche tutti gli altri, perché se questi punti non sono equi, la barca rischia di affondare, anche se uno di questi è il migliore del mondo. Senza nulla togliere al mio vecchio editore con il quale mi sono trovata bene. La situazione editoriale italiana? Non è delle migliori. Per me la colpa non è soltanto degli editori che mirano più alla quantità che alla qualità, ma anche di noi lettori. Io spesso viaggio in metro per raggiungere il luogo di lavoro e la maggior parte delle persone, oggi, hanno un telefonino in mano, si vedono veramente pochi libri in circolazione. I “grandi” editori tendono a pubblicare sempre saghe molto simili tra di loro e non c’è molto spazio per le nuove idee, anche se io sono l’eccezione che conferma la regola, nessuno prima di me ha scritto un libro dedicato a una band emergente. Quindi non è corretto fare sempre di tutta l’erba un fascio. Il mio obbiettivo, con l’aiuto del mio editore, è portare il mio libro nelle scuole e spiegare l’importanza che hanno lettura e scrittura nella vita di una persona. Per me, ad esempio, molto spesso è stato fondamentale far appello a loro.

E quanto ha cambiato il panorama l’auto-pubblicazione e il mercato digitale? Pensi che per un emergente “far da sé” possa essere una valida alternativa ai canali di pubblicazione tradizionale?
Proprio per le ragioni che vi spiegavo prima, credo che il mercato digitale possa facilitare il mondo della letteratura, per due semplici ragioni: costa poco e ormai i giovani, e non solo loro, danno la precedenza alla tecnologia. Sull’auto-pubblicazione, invece, la penso esattamente come sull’editoria a pagamento.

Grazie anche al digitale, però, i libri di giovani emergenti si moltiplicano. Secondo te esiste una formula magica per sfondare? Il talento, prima o dopo, viene premiato o è anche una questione di fortuna?
No, non esistono formule magiche. La formula è una dose massiccia e combinata di: pazienza, umiltà (perché bisogna saper accettare le critiche costruttive), costanza, determinazione, e in alcuni casi di fortuna. Quest’ultima, molto spesso, è fondamentale. Conosco un autore che era negli Stati Uniti per un viaggio, credo, e faceva foto del suo libro davanti ai monumenti. Un giorno lo ferma un tipo e si scopre che è l’editore niente meno che di Ken Follet, che decide di pubblicarlo. Ognuno di noi ha il suo momento, bisogna avere la pazienza di attenderlo, e nel frattempo lavorare duro per migliorarsi.

Parliamo per un attimo del tuo ultimo lavoro, “Stazione d’arrivo”. A cosa ti sei ispirata? Quanto c’è di te e della tua esperienza nel libro che hai scritto?
In realtà, “Stazione d’arrivo” è nato per rispondere alla richiesta dei lettori del mio primo libro. In Prendi e Vai, narro la storia di Sara, una giovane con molti sogni nel cassetto, ma troppo occupata a realizzare quelli degli altri, e che si dimentica di se stessa. L’incontro con Valentino, uno dei componenti della band di cui parlo in entrambi i libri, sarà fondamentale per cambiarle la vita. Nel primo romanzo troviamo una Sara ragazzina che ha bisogno di una spalla, forse anche più di una, per portare avanti i suoi progetti di vita e di lavoro, e la band le fa un po’ da madre. In “Stazione d’arrivo”, invece, la protagonista è realizzata, con il libro e un film all’attivo, ma cosa accade quando un sogno si realizza? Cosa accade quando con chi ti ha portato a realizzarlo qualcosa si spezza? Vedremo una donna sola, ma più forte. In entrambi i libri c’è molto di me, di quello che sono stata, di quello che sono oggi e di quello che spero di diventare un giorno, non tanto come scrittrice, ma come persona. Il finale di Prendi e Vai era un po’ aperto, per questo il pubblico mi ha chiesto come andava a finire una certa situazione… Da qui il titolo di questo sequel, Stazione d’arrivo, quel posto che tutti chiamiamo casa, quel luogo nel quale siamo liberi di essere noi stessi senza che qualcuno ci dica cosa fare o come essere, quel posto dal quale possiamo spostarci senza paura di perderlo e scoprire, al nostro ritorno, che è lì ad attenderci esattamente come l’abbiamo lasciato. In tutti e due i libri racconto il mio percorso, sia di scrittrice che di persona. Vorrei trasmettere un forte messaggio a tutti coloro che, dopo una delusione, si arrendono. Arrendersi non è mai la soluzione, camminare porta a grandi risultati, invece.

Quali sono, adesso, i tuoi progetti? Stai già lavorando a qualche nuovo lavoro?
Ne ho tre. Il primo è pubblicare la storia di una ballerina a cui amputano un piede e deve ricominciare una nuova vita, non programmata. Il secondo è riscrivere una nuova edizione di Prendi e Vai – non che la prima non mi sia piaciuta, ma voglio metterci qualcosa di più mio, perché durante la stesura sono stata condizionata da chiacchiere, polemiche e avvenimenti vari. Il terzo è una saga che sto scrivendo da quando ho quattordici anni, ma, per una cosa o per un’altra, interrompevo ogni volta. Ora credo di aver trovato l’altra metà della mela (letteraria) che era l’ingrediente che mi mancava, quindi sarà un romanzo scritto a quattro mani, ma non vi dico altro.

E il tuo sogno nel cassetto?
Il sogno rimane lo stesso: continuare a scrivere fino a quando il mio cuore non smetterà di battere. Pensavo che una volta pubblicato un romanzo le cose sarebbero cambiate, invece ho scoperto che è un sogno a tempo indeterminato. Non vi nascondo che ne ho altri due: aprire una libreria che dia spazio alle novità note e meno note, ma anche alla musica; e vedere realizzato il sogno di uno dei ragazzi della band, a cui tengo tanto, Mirko Martini. Ma penso che anche lui sia sulla buona strada. A tal proposito, vi lascio il link del book trailer di Stazione d’arrivo, lui ha composto la melodia. Qui invece trovate un altro progetto del mio amico.


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