Intervista a Francesco Giannini

Francesco GianniniFrancesco Giannini considera la scrittura un mezzo espressivo che non dovrebbe conoscere limiti di genere o di forma.

Nel 2013 ha esordito con la raccolta di racconti “Quello che le favole non dicono”, edito dalla casa editrice locale FaLvision. Con una prefazione di Tommy Dibari e Fabio Di Credico (autori televisivi per “Striscia la Notizia”, nonché scrittori e autori cinematografici), il libro ha ottenuto un discreto successo aggiudicandosi anche un riconoscimento al XVI “Premio Letterario Osservatorio” di Bari. A fine 2014 è arrivato il primo romanzo, “Ero il mare nero” (potete leggere la recensione su Parole a Colori).

Sul sito dell’autore potete trovare informazioni sulle opere, video di presentazione e altri contenuti.

 

Come nasce in te la passione per la scrittura?
Nasce dall’osservazione mio padre, seduto nel suo studio intento a battere a macchina delle lettere di lavoro. Mio padre era un uomo vecchio stampo, una quercia del ‘900, e batteva a macchina piano, con attenzione, con la carta copiativa. Mi piaceva guardarlo, e volevo fare le stesse cose anche io. Iniziai a otto anni, e mi resi conto che il problema non era scrivere a macchina, ma cosa scrivere. Così, scrissi il mio primo racconto.

Nel 2013 hai esordito con una raccolta di racconti dal titolo “Quello che le favole non dicono”. A cosa ti sei ispirato e per quanto tempo hai lavorato a questo progetto?
Quello che le favole non dicono è nato un po’ per caso, come rottura del ghiaccio prima del romanzo Ero il mare nero, e poi è diventato un caso a sé. Avevo scritto molti racconti negli anni, e sinceramente non sapevo quasi cosa farne. Mi fu consigliato di esplorare il mondo editoriale con una raccolta e per quanto il consiglio fosse pessimo, giuntomi indirettamente da una zitellona pseudo-esperta e caldeggiatomi da un’altra signora più giovane, ma alla fine ha aperto una strada utile. Non c’è una ispirazione precisa nel libro, perché è semplicemente la scoperta della centralità della vita, la strada verso la scoperta del proprio io, attraverso amore, famiglia, lavoro e spiritualità. I racconti si succedono nel corso del tempo e rappresentano l’evoluzione di questi concetti in un individuo sempre più adulto.

Perché la scelta di cimentarti in un genere particolare, talvolta non del tutto compreso, come quello del racconto breve?
Definire la lunghezza di un’emozione è difficile – inutile, direi. Si può essere intensi in 2 pagine e inutili in 20. Cerco di non dire nulla di inutile. A volte bastano poche parole. Credo che non si scelga una forma artistica, perché i canoni servono solo a bloccare la mente.

Pensi che il pubblico in italia sia aperto a cose diverse dai canonici romanzi oppure c’è ancora una certa diffidenza ad accostarsi alla lettura di libri come il tuo?
In Italia un libro di racconti come Quello che le favole non dicono viene considerato allo stesso modo di un romanzo come Ero il mare nero. Il pubblico preferisce i libri su Belen. In Italia ci si divide fondamentalmente in due categorie: quelli che vogliono leggere, quindi leggono qualunque cosa, e quelli che non leggono. Quelli che leggono hanno aperto con piacere entrambi i miei libri, e per assurdo forse è più facile leggere la raccolta. Ad esempio c’è chi se la porta in borsetta e ne legge un racconto ogni tanto. La raccolta si può centellinarla.

Il tuo libro è edito dal FaLvision, una casa editrice locale. Com’è stato il tuo avvicinamento al mondo editoriale? Hai ricevuto molti rifiuti, prima di trovare un editore pronto a credere in te?
Il mio libro è stato edito da FaLvision nel 2013 e ora viene riedito da YouCanPrint, che è una casa editrice self. Parliamoci chiaro: non esiste un mercato editoriale serio in Italia. Se si possiede un nome si può pubblicare con le major; altrimenti restano gli editori a pagamento. Se si dispone di parecchio denaro, e l’opera è interessante, si può pagare una major e pubblicare con loro. Punto e basta. Le vendite del libro di un esordiente solitamente sono piuttosto basse e non permettono il rientro della somma spesa per pubblicare. Quindi il rifiuto non esiste, perché tutti gli editori accettano, purché paghi. Io ho ritirato il libro da FaLvision semplicemente perché, pur essendo persone serie, non ritengo utile la farsa dell’editore a pagamento in genere. A questo punto, preferisco un buon self.

Dalle tue parole si capisce che la tua percezione della situazione editoriale italiana non è delle migliori.
Il pubblico che legge è discretamente aperto. Molti autori auto-pubblicati hanno creato interessanti saghe, soprattutto fantasy, molto seguite. Le major a volte si interessano ai giovani, specie se vedono in loro un personaggio che è possibile sfruttare. Il livello però a mio avviso è ancora troppo basso, perché veniamo da anni di cattivo gusto, e la situazione media culturale si riflette nella produzione editoriale.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Stai già lavorando a qualche nuovo lavoro?
Dopo Ero il mare nero e la nuova edizione di Quello che le favole non dicono, uscirà a breve anche una raccolta di pensieri, una specie di piccola guida giornaliera, dal titolo I frammenti vergini. Sono tutte cose in buona parte già pronte. Dopo partirò con il progetto di un nuovo romanzo.

E il tuo sogno nel cassetto?
Nell’ambito letterario sono due i sogni: trasformare il mio primo romanzo in un film e scrivere una graphic novel.


 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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